Un “inedito” al Festival intitolato al musicista
Giallo Prokof’ev
Sapeva dare la giusta tonalità musicale a una tonalità di colore. Così affermò Ejzenstein che affidò le immagini del suo “Ivan il Terribile” alla colonna sonora del compositore russo. Riproposta all'Auditorium Parco della Musica di Roma
Niente grande schermo, niente fotogrammi sul telone bianco, con le loro ombre lunghe, inquietanti come solo l’espressionismo di Ejzenstein sa fare. Ma per tre sere all’Auditorium Parco della Musica di Roma è stato come veder proiettata la magniloquente pellicola del maestro sovietico, Ivan il Terribile, uscita nel 1944 e insignita del Premio Stalin. E infatti l’ultimo appuntamento con il Festival Prokof’ev, ideato dal presidente dell’Accademia di Santa Cecilia Bruno Cagli, ha sfoderato appunto la colonna sonora firmata dal compositore russo per il primo film della trilogia nata per narrare le vicende del sovrano che nel XVI secolo volle riunire in un grande impero i territori dal Baltico all’estremo Oriente. In realtà la seconda e terza parte del progetto ebbero poca fortuna. Il regime sovietico censurò La congiura dei boiardi, ritenendola disfattista, proibendone la proiezione in Urss e costringendo Ejzenstein a fare autocritica. Quanto alla pellicola conclusiva dell’epopea di Ivan, non se ne fece addirittura niente, perché il regista fu colpito da attacco cardiaco durante il set e il materiale girato fu sequestrato e probabilmente distrutto.
Ma tant’è. La musica di Ivan il Terribile ha sancito la fertile collaborazione tra Prokof’ev ed Ejzenstein, cominciata sei anni prima, nel 1938, con un altro caposaldo della storia del cinema, Alexander Nevskij. E l’esecuzione al Parco della Musica ha restituito la grandiosità della pellicola, grazie alla compattezza, al vigore e al rigore della Orchestra e del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia diretti da Valery Gergiev, il quale proprio 25 anni fa, ha ricordato Cagli, fu invitato per la prima volta dalla prestigiosa istituzione musicale romana.
Ivan il Terribile op. 116 è un «oratorio per voce recitante, soli, coro, coro di voci bianche e orchestra». Definizione data da Abram Stasevic, collaboratore diretto di Prokof’ev, che nel 1962 riunì tutti i materiali, anche quelli scartati dall’autore, per creare una «drammaturgia più o meno lineare, articolata in 25 numeri, legati tra loro da testi tratti dalla sceneggiatura». Dunque una composizione sinfonica tanto sviluppata da potersi agevolmente svincolare dal film. Anzi, capace di esaltarsi senza il supporto delle immagini e proprio grazie all’esecuzione dal vivo. Una sorta di dramma in musica, nel quale si staglia la figura di Ivan, così come lo stesso Prokof’ev la illustra: «Il primo film descriveva la giovinezza di Ivan. Ivan che sale al trono. Ivan il guerriero che conduce i soldati russi contro il nemico. Ivan il marito innamorato che singhiozza sulla bara, portata dai boiardi, dell’amata moglie Anastasija. Ivan uomo di Stato, che nella lotta difficile contro i nemici interni ed esterni dirige gli affari amministrativi, esteri e militari. Un capo di Stato che mira a una sola cosa: riunire sotto la corona tutte le terre russe». Un gigante, uno statista dal polso di ferro, come Stalin. E si deve appunto al paragone con il dittatore l’attenzione esercitata sull’opera da parte della censura. È ancora il compositore a descrivere il metodo di lavoro con il regista: «Ejzenstein mi invitò ad andare ad Alma Ata per lavorare con lui al film storico Ivan Groznj. Me ne mostrò subito la sceneggiatura. In seguito la esaminammo insieme ed egli mi descrisse nei dettagli e per immagini quale musica si adattava al film. Il mio lavoro doveva scorrere su un doppio binario: una parte della musica doveva essere scritta prima di girare il film, in modo che si potessero iniziare le riprese su questa; una parte, al contrario, doveva essere composta dopo che io avessi potuto vedere il materiale già girato, affinché si adattasse a esso. A ogni incontro suonavo a Ejzenstein il materiale che avevo scritto, dopodiché esso veniva inciso sulla pellicola».
Da parte sua il regista annotava: «Prokof’ev ha la sorprendente capacità di tradurre in musica l’immagine plastica. Ma non pensate che lo faccia in modo descrittivo. Parte da una percezione molto complessa dell’immagine visiva. Per lui anche le diverse sfumature del colore giocano un ruolo nel passaggio all’immagine musicale. Qualsiasi musicista può trasporre in musica per esempio lo stormire di foglie di un paesaggio autunnale. Ma per tradurre il ritmo delle tonalità di giallo dell’inquadratura nella corrispondente tonalità musicale ci vuole ben altro talento. Prokof’ev ci riesce in modo sorprendente».
Abbiamo detto del modo in cui poi la colonna sonora si trasformò in “oratorio”. Capace di alternare ritmi cadenzati e minacciosi, come quando i soldati assediano la fortezza di Kazan, città ribelle; melodie sognanti ed echi di musica popolare russa, allorché Ivan cerca da fanciulla da sposare; sinuosi e ambigui, per accompagnare, nella “Canzone del castoro”, la congiura volta a eliminare lo zar; maestosa nel finale, quando il coro, che impersona il popolo, intona “Ritorna, ritorna, amato padre” e Ivan risponde “In questo lamento popolare leggo il volere del Supremo…Tornerò e concluderò la mia grande missione”. Sentimenti altalenanti, repentini rovesci di situazioni che l’orchestrazione affronta usando tutti gli strumenti, esaltando il richiamo delle trombe, il pathos delle percussioni, la nostalgia folcloristica delle campane. In un affresco che ha avuto nel Coro, anche delle Voci bianche, nell’intervento del contralto Yulia Matochkina, del baritono Roman Burdenko e della voce recitante Tommaso Ragno eccellenti protagonisti insieme con l’Orchestra.
Applausi del pubblico per l’esecuzione e per l’operazione culturale. Seguiti a quelli della prima parte del programma, nella quale sono state suonate l’Ouverture Russa e il Concerto per violino e orchestra n. 1 con il duttilissimo solista Leonidas Kavakos.