La poesia. Scelta da un grande poeta
Every beat of my heart
Un regalo speciale per i nostri lettori: da oggi, con cadenza settimanale, una rubrica di Poesia curata e introdotta da Roberto Mussapi. Che, simbolicamente, si inaugura con dei suoi versi sul Natale. Come spiega lui stesso, il suo “biglietto da visita”, il suo “autentico documento anagrafico”...
Partiamo oggi, vigilia di Natale. Per me, come per molti, il giorno del riepilogo e del ricominciamento. L’anno passato e l’anno eveniente. Capodanno è orpello, lustrini, questa di oggi è la festa. La professione di fede non è determinante. È una vigilia sentita, avverto, da molti. È un giorno di passaggio, soglia, ognuno di noi, anche il più scettico, aspetta, dickensianamente, il miracolo. Il botto che cambia la vita, magari inaudito, in silenzio. Come si avverte nella magica drammaturgia del presepe, a partire dalle figure più immediatamente teatrali e suadenti, come ad esempio due uomini, un povero pastore sporco, malconcio, evidentemente analfabeta, che guarda in alto, e un uomo di pelle scura, su un cammello, sontuosamente vestito, con anello regale, che scruta sopra la grotta e cerca nel buio della grotta… Il sapiente zoroastriano partito da Oriente, tutti presi e rapiti dall’incanto di quella stella.
Oggi, vigilia di Natale, 24 dicembre 2014, inizio una rubrica che presenterà settimanalmente una poesia da me scelta, non commentata, solo fulmineamente introdotta. Parto da un’opera mia, per educazione. I miei versi sono il mio biglietto da visita e il mio autentico documento anagrafico. È una delle tante opere scritte da me sul Natale, poesie, libri, teatro… Perché per me la poesia in se stessa è una sorta di Natale, una sua prova quotidiana. Buio, capanna, grotta, e poi un grido, e una luce nel buio.
Natale adesso
So che era Natale, tante volte, ma era come
se fosse sempre identico, ricordo
che per anni e anni e anni c’era la neve,
e una volta mio padre mi regalò un cavallo a dondolo,
oscillavo, come se io stessi nevicando.
E un’altra mi regalò un paio di guanti,
foderati di pelo, tenevano caldo,
me li infilò nella mani lui personalmente,
anche se sapeva che non avevo freddo.
Ci furono altri Natali, nella mia vita,
Teresa scoprì la neve come una negra
e anche se non lo soffriva ne soffrì il freddo,
come se fosse un fiato d’asino a scaldarci.
Quando uscì dall’Humanitas c’erano montagne di neve
ma molto vino per resisterle e guardarla,
dalla finestra, come in una palla di vetro.
Poi tutto entrò nelle mie fibre interne,
la notte stellata del presepe e un finto freddo,
e il fuoco non ebbe più bisogno del camino,
fu in me, come lo avevo sognato un tempo.
Scoprii la grotta nel mio cuore accogliente,
e paglia che riluceva come oro filante,
e gente che s’inginocchiava senza saperlo,
come ero io, che guardavo mio padre
non so se ancora vivo o ancora presente,
come fosse lo stesso, rinascendo.
Tutto era identico con neve o senza,
era Natale, non ricordo più niente.