«Eros e Thanatos” al Baretti di Torino
L’autofiction teatrale
Serena Sinigaglia ha costruito una "conferenza spettacolo" su un suo vecchio spettacolo. Un'esperimento - discutibile - che sa troppo di autocelebrazione
Serena Sinigaglia è una delle registe più rappresentative della generazione dei quarantenni. In lei si apprezza il rigore di chi studia i testi a fondo per interpretarli, la generosità creativa e l’asprezza che la porta difficilmente a lasciare la propria città, Milano, vivendone l’identità come una importante fonte di ispirazione. Ecco perché, trovandomi per altre ragioni a Torino, non ho voluto perdere l’occasione di assistere al suo Eros e Thanatos, qualcosa che la stessa autrice e regista definisce una «conferenza spettacolo». L’ho visto in un piccolo – ma accogliente e nell’occasione pieno zeppo – teatro in San Salvario, la zona più trendy della città: il cine-teatro Baretti, una di quelle realtà (saranno meno di duecento posti) che con la loro vitalità e la loro tenacia spesso mancano nelle nostre città.
Quanto a Eros e Thanatos, si tratta in effetti di una sorta di chiacchierata organizzata di Serena Sinigaglia con il pubblico, nel corso della quale la regista racconta alcuni avvenimenti della propria vita e descrive la genesi artistica e produttiva di quello che resta il suo spettacolo più importante: Baccanti di Euripide, messo in scena nel 1998, che la rivelò al pubblico e alla critica. Accanto alla Sinigaglia (seduta su una semplice sedia, con un leggio davanti), due bravi attori (Sax Nicosia e Sandra Zoccolan) sceneggiano il racconto della regista, talvolta “interpretandola” come un qualunque personaggio. Si parla di passione per la cultura e per la lingua greca, di compagni di scuola e dell’esame di maturità sostenuto in greco dalla regista medesima. Poi dei suoi studi teatrali, delle passioni, dei primi passi e della grande occasione, finalmente: la costruzione delle suddette Baccanti in Albania con un coro composto da giovani attrici albanesi. E naturalmente si argomenta la ragione che portò a quella scelta: far incontrare culture differenti attraverso l’inserimento di un “diverso” in una comunità chiusa. La scena finale di Baccanti rappresenta, anche qui, il finale della «conferenza spettacolo».
Valutare la teatralità di un evento del genere è quasi ingeneroso: si va oltre l’ora e mezza, qualche volte si sorride e spesso ci si annoia. Ma una cosa mi preme dire. Quello che più mi ha colpito in questo Eros e Thanatos è la naturalezza con la quale Serena Sinigaglia si autocelebra. Ossia celebra la propria tenacia (aver convinto un ricco produttore a dar corso al suo progetto euripideo) e la propria arguzia (aver attirato le giovani albanesi nella rete del suo spettacolo). Poter valutare con lucidità la propria vita, specie a quarant’anni, è molto difficile: s’è nella prima fase di bilancio, quella che può essere o troppo ingenerosa o troppo esaltante (raramente a quarant’anni ci si guarda con chiarezza, e il peggio deve ancora arrivare). Serena Sinigaglia, sicuramente un’artista di livello, qui commette l’errore di dimostrare (in pubblico) di avere un’idea soverchia di se stessa: non sempre i rovelli personali, direi privati, sono più interessanti di ciò che quegli stessi rovelli hanno prodotto in pubblico. A mia memoria, né Strehler né Ronconi né Castri (per dire i tre maestri del teatro italiano del Novecento) mai hanno fatto uno spettacolo su un loro spettacolo. Nemmeno sotto forma di conferenza. Lo so, l’autofiction va molto di moda (specie in letteratura) nella generazione dei trenta/quarantenni. Ma quel vezzo, che non sempre funziona sulla carta (non tutti nascono Gabriel García Márquez o Carlo Goldoni in modo da rendere sublime la propria autobiografia), mi sembra per niente adatto al teatro. Ieri sera ne ho avuto la conferma. Pazienza.