Catia Simone
Una serie di conferenze a Verona

La recita di Lou Reed

La rabbia e la poesia, la musica e l'energia per (provare a) cambiare il mondo: una recita di versi per quei giovanissimi che vanno a lezione di vita e di rivolta da Lou Reed

Fuori piove. Dentro ascoltiamo. Nella Biblioteca Civica di Verona, a due passi dalla casa di Giulietta e Romeo, nella prima di una serie di conferenze dedicate a «Musica e non solo musica. Il rock sulla strada, nel costume, nell’arte, nei conservato», tra pareti affrescate e il mormorio dei ragazzi di una classe del liceo artistico della città scaligera spesso distratti dalle chat del mondo virtuale, si celebra l’innovazione, il passato che è rimasto futuro, la storia del rock.

Si parla di Lou Reed, The Velvet Undeground. E Andy Warhol. E di colpo quei giovani tatuati, ingellati, rasati, bucati dai piercing, mi appaiono vecchi. E mi chiedo: cosa ne sarà della loro apparenza, della loro finta ribellione divenuta conformismo spalmato a piene dosi sui corpi e nelle menti in quel futuro che li attende, in una società in cui la musica pop sforna modelli a ripetizione, mediocri imitazioni del già imitato?

Al contrario del rock, nel quale Ribellione (vera), Mercato, e Consumo significavano apprendere, approfondire, sperimentare, rivoluzionare, creando team di persone qualificate, incarichi specifici, professionalità e le fondamenta di un genere musicale che ha segnato intere generazioni in un mondo agitato da chi, pagando anche con la vita, ha combattuto contro i pregiudizi razziali, contro le guerre ingiuste, ma anche contro chi si opponeva alla giusta evoluzione tecnologica e culturale dell’umanità. Il rock ha cambiato le persone, dando loro la consapevolezza di poter creare, godere, sognare, ma sopportare anche atroci sofferenze sentendosi parte di qualcosa e di qualcuno.

Lou Reed ha impresso sul vinile pubblicato nel 1969 The Velvet Undeground la sua esplicita aggressività con la poesia The Murder Mystery, rendendola universalmente rock, e che oggi le voci di due attrici del teatro Scientifico di Verona, Jana Balkan e Isabella Caserta, canale destro e canale sinistro come nel disco, con due diverse tonalità hanno recitato (in margine alla conferenza) l’urlo di ribellione di questo grande artista, che insieme ad Andy Warhol, onnivoro e vorace protagonista di quegli anni, ha creato la dimensione ideale in cui costruire e fondare, distruggendo anche quella parte di se stesso impudica, violenta e così unica. La Factory è stato il luogo per eccellenza della trasformazione di una società che oggi ha reso mediocre e popolare quello che Warhol aveva scoperto: il potere dell’immagine.

La rappresentazione anche ossessiva di una vita trascorsa su un palcoscenico sul quale ogni ospite è diventato protagonista di un inedito cineracconto, un nuovo modo di comunicare al mondo che esisteva un altro mondo, forse per alcuni eccessivo, inaccessibile, incomprensibile. Un nuovo modo di comunicare che ha creato la pop art raggiungibile da nuovi innovatori della parola, del colore, della musica, dell’estetica e della moda. Un altro modo per rendere universale anche la semplicità di un prodotto di consumo, la copertina di un disco, o la folle genialità di Lou Reed, nei cui viaggi artificiali non ha mai perso la sua identità di poeta e musicista. Nelle molteplici allucinazioni la sua verità non è stata mai alterata. Non era un oracolo truccato dall’artificio della chimica. Era semplicemente Lou Reed, nel bene e nel male.                                                         

«With cheap simian melodies / hillbilly outgushfor illiterate ramblings, / for cheap understanding / For mass understanding the simple the inverse / the compost the reverse the obtuse and stupid / And business and business and cheap stupid lyrics / and simple mass reverse / while the real thing is dying»: «Con mediocri melodie scopiazzate / sfoghi pacchiani, per girovaghi insensati / e illetterati a buon mercato / per la comprensione di massa il semplice l’inverso / il contrario, il rovescio, l’ottuso e lo stupido / e affari, e affari, e stupidi testi a buon mercato / e rovescio della semplice massa / mentre l’idea vera muore».                                                                        

Fuori piove ancora Mi sento piena, sì piena. L’immagine di Lou Reed si riflette nella vetrina della Biblioteca nel celebre ritratto di Warhol. Un ragazzo appoggiato al vetro sta fumando. Sul viso l’espressione di chi a vent’anni disprezza il mondo. È solo una posa. Se solo oltrepassasse quel vetro scoprirebbe che l’idea vera vive impressa su un quadro alle sue spalle. Vive nelle sue poesie, nelle sue note e nelle sue canzoni, nelle corde di una chitarra. L’idea vera vive. Ancora.

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