A Roma alle Vie dei Festival e poi a Modena
La Tragedia Terra
“Red Forest“ di Belarus Free Theatre è una tragedia greca in cui il destino combatte gli uomini che vogliono distruggerlo. Ma più del messaggio conta il carosello di straordinarie invenzioni sceniche
Immaginate di dover aggiornare la tragedia greca al Terzo Millennio e avrete Red Forest, lo spettacolo di Belarus Free Theatre che le Vie dei festival ha portato a Roma al Vascello nei giorni scorsi (e che ora è atteso a Modena dove sarà domani e dopo). In circa ottanta minuti, scorre la vita di una donna in conflitto non con il destino in senso lato ma con quell’umanità degradata e autodistruttiva che è – oggi, anni Duemila – il suo destino. Ecco l’aggiornamento: gli dei sono scesi sulla terra e si sono fatti uomini i quali, vuoi per profitto, vuoi per capriccio, vuoi per ignoranza fanno esercizio solo di violenza, sfruttamento e sopraffazione. E la nostra donna, con i suoi figli perennemente in braccio, li affronta la sola prendendo su di sé tutto il carico simbolico della rovina e della rivolta al tempo stesso.
Ma c’è un altro livello di lettura, nel nuovo mito. È quello secondo il quale la donna protagonista – che affronta le violenze religiose, quelle dell’esilio e della “clandestinità”, che vede i mari gonfiarsi e impazzire, la terra imputridirsi per il fracking e l’aria ammorbarsi per le secrezioni radioattive delle centrali nucleari – altri non è che la Terra. La Madre Terra che la cultura africana simboleggia, appunto, come una donna grande e forte con i figli in braccio. La nuova tragedia “alla greca”, dunque, ha rovesciato i termini della storia: non è più l’uomo a combattere contro il Fato, ma il Fato a combattere contro gli uomini che lo distruggono.
Questo è – io credo – il “messaggio” di Red Forest. Ma non è questa la cosa più interessante dello spettacolo. Anzi. Ciò che colpisce di più è la straordinaria ricchezza delle invenzioni teatrali. Ci troviamo, si sa, di fronte a uno dei gruppi internazionali più prestigiosi e acclamati: Nikolai Khalezin e Natalia Kaliada, fondatori di Belarus Free Theatre, devono la loro fama non solo alla lotta cruda e amara che hanno dovuto combattere con la dittatura del loro Paese (che li ha incarcerati, banditi, esiliati) ma anche, se non soprattutto, alle loro invenzioni sceniche. E in questo nuovo spettacolo ce ne dànno ulteriore prova. Prendete la scena in cui la donna viene violentata da un gruppo di militari: suoni e luci si combinano con una sorta di danza di morte di stringente efficacia. Prendete la scena in cui, in una notte amara, spaventosa, sei attori si trasformano in caterpillar e trivelle che prima sgomberano i paesi e poi li bucano con le loro pompe esplosive. Prendete la scena in cui un piccolo gruppo di uomini volenterosi attraversa le paludi per tentare di ricostruire un villaggio… Ma descriverle non serve: perché il teatro bisogna viverlo e Red Forest è una piccola, sontuosa esperienza emotiva alla quale, ammettiamolo pure, qui da noi in Italia siamo disabituati.
La scena, la musica (suonata in scena) e le immagini sono usate con maestria: a terra una rettangolo di terra rossa (che forse volutamente ricorda una mitica Carmen di Peter Brook, maestro al quale i Belarus devono molto) e due vasche d’acqua (pensate all’uso che ne faceva Strehler nel Campiello), in alto un telone lungo e stretto per le proiezioni. Ossia, insieme, il massimo di concretezza scenica e il massimo di illusione: eppure i due elementi convivono (e spesso di integrano) alla perfezione.
Diciamo, allora, senza per forza auto-flagellarsi in modo un po’ provinciale, che Nikolai Khalezin e Natalia Kaliada sono venuti a Roma a darci una piccola lezione di nuovo teatro che, d’un colpo, rende fuori registro certe ridicole contese del teatro nostrano fra tradizionalisti e (presunti) contemporaneisti. Si può fare buon teatro, si possono inventare splendide immagini usando tutti gli strumenti, nuovi e vecchi, che abbiamo a disposizione. Basta avere buone idee.