Il festival Finestre
Il Pulcinella globale
In Umbria, tra Marsciano e San Venanzo, da anni cresce un'iniziativa coraggiosa e vitale che mescola la lezione di Eugenio Barba alle potenzialità globali del teatro popolare
Il teatro è importante perché lascia segni nel mondo. Contro la prepotenza comunicativa delle mode. Contro il potere degli altri mezzi di comunicazione. Contro le ragioni del disimpegno. Contro la crisi, i costi eccessivi, i talk-show e la dittatura degli chef. Il teatro resiste nelle pieghe di qualunque società: vieppiù ne sono convinto dopo aver partecipato ai raffinati fasti di un piccolo festival che ogni anno, da qualche anno, ha vita in Umbria, in autunno (dunque lontano dalle processioni turistiche e modaiole), tra Marsciano, San Venanzo, Fratta Todina e Montecastello di Vibio. Ossia luoghi popolari e appartati che solo i turisti americani, inglesi e olandesi, d’estate, conoscono. Noi italiani no, la maggior parte di noi italiani li abbiamo cancellati.
Eppure questi luoghi, pur baciati da un turismo sontuoso, non ostentato e danaroso, si dannano l’anima perché vogliono piacere anche a se stessi, non solo agli appartati abitatori che parlano lingue straniere e recuperano case coloniche altrimenti destinate a morte certa. Ed ecco che le amministrazioni di questi luoghi, forse un po’ tirate per la giacchetta da artisti avveduti, acconsentono a spendere qualche lira (pochi, pochissimi euro) per costruire appuntamenti culturali in grado di dare ai luoghi stessi e alle loro popolazioni un’identità nuova. Che sia contadina e culturale, agricola e teatrale, paesana e globale.
Sono stato, dunque, a San Venanzo, Regione Umbria, provincia di Perugia, per assistere a una strana serata brechtiana e a una nottata pulcinellesca che trasudavano energia come nelle grandi città (la mia: Roma, per esempio) non ne esistono più da anni. È vero, a Roma esistono tante rassegne alla moda, con brillanti nomi internazionali e decine di migliaia di euro che circolano ma poi vai a vedere le presenze e scopri che, magari, per uno spettacolo gagliardamente strombazzato dalla stampa (o addirittura sostenuto dalle istituzioni) c’erano magari venti, trenta spettatori al massimo. Si può fare di più. Nelle mie serate di San Venanzo s’era in cento e forse più: e questa è giù una notizia perché invece di vedere una partita di pallone o consumare un happy hour in piazza molti hanno preferito andare “a teatro”. A vedere Brecht o Pulcinella.
Il festival in questione si chiama Finestre, è diretto da Valerio Apice e Giulia Castellani e da un po’ di anni porta in Umbria Eugenio Barba perché agli allievi di Barba è dedicato, questo festival, pur senza essere monomaniaco né ideologicamente troppo schierato. Schierato dalla parte del teatro, semmai. Io vi ho visto Sulla difficoltà di dire la verità, lettura concerto dedicata al celebre testo di Bertolt Brecht da Davide Sacco e Agata Tomsic del gruppo ErosAntiEros (nella foto sopra) e Volti del futuro… nel mio paese, testimonianza video di una pulcinellata condotta da Valerio Apice (nella foto accanto al titolo e qui sopra) nella casa dell’Odin Teatret. Non voglio dire nulla di specifico nel merito, tranne il coraggio e l’energia: il coraggio di Sacco e Tomsic che hanno rispolverato uno dei testi più didattici e comunisti di Brecht per farne una lettura aggressiva e politica alla maniera di tanti, troppi anni fa; e la vitalità pazza di Valerio Apice che ha condotto decine di pulcinella umbri nel cuore della Danimarca non già per lanciare un segno di italianità nel mondo, ma per testimoniare un pezzo di globalità sostenibile.
Posso dire, semmai, della quieta eleganza di Eugenio Barba che, senza badare al peso specifico del suo mito, continua a pestare l’erba del mondo inseguendo i suoi discepoli. Questo mi ha colpito: l’amore di un maestro che non lascia soli i suoi allievi e li segue passo passo per dare loro forza ed energia. Anche nell’avversa sorte. Quella forza e quell’energia che questo nostro povero Occidente morente non sa più dove trovare. Ed è compito dei “vecchi” maestri indicare la strada, lieve e solitaria. Come quella che ho visto segnata, nei giorni scorsi, a San Venanzo. Tanto che non solo vorrei che Apice e Castellani continuassero il loro percorso, ma pure spero che qualcun altro, altrove, trovi il coraggio di seguirli. Ne varrebbe la pena.