In scena al teatro Argot di Roma
Pirandello e i disoccupati
Matteo Tarasco ha preso “Enrico IV“ di Pirandello e si è concentrato sulla vita assurda dei quattro figuranti che devono sostenere la recita folle del re. Ne è venuta fuori una gustosa parodia
Spesso, scavando nei classici si trovano misteri e paradossi che rendono quei medesimi classici ancora più attuali e contemporanei di quanto non appaiano a prima vista. Scavando nei classici, per esempio, si possono trovare degli spin-off che portano altrove rispetto all’originale, ma arrivano inevitabilmente a mettere sotto una luce nuova il classico medesimo. Ne ho avuto una conferma assistendo a un piccolo, intelligente spettacolo all’Argot di Roma: Enrico IV (ma forse no) con regia e drammaturgia di Matteo Tarasco.
Enrico IV di Pirandello, come tutti i testi del siciliano, secondo me resiste faticosamente al tempo: quell’italiano dotto che ripudia il dialetto fa sempre più fatica a tradursi in lingua teatrale ma, certo, nelle trame di Pirandello ci sono sempre misteri e trovate degne della sua grande fama. Prendete, per esempio, la strana situazione dei quattro figuranti che, dietro compenso, recitano tutte le parti della corte del supposto Enrico IV: se lui è pazzo, per sopravvivere devono essere pazzi anche loro; se lui è rinsavito, loro non possono che continuare a impazzire per non tradirsi. Ebbene, Matteo Tarasco indaga proprio nella triste contraddizione di questi quattro ragazzi i quali, trasportati all’oggi, sono attori disoccupati che hanno accettato di essere scritturati alla corte di Enrico IV; chi per vanità, chi perché non ha altro lavoro, chi per disperazione.
Insomma, in questo spettacolo il contenitore è quello pirandelliano, come pirandelliane sono molte delle battute iniziali, nelle quali lo spettatore comprende la situazione assurda del matto che vuole accanto a sé figuri medioevali forse per assecondare la sua follia o forse per assecondare la sua savia voglia di vendetta nei confronti della sua famiglia. Ma presto, Matteo Tarasco si sfila da Pirandello e costruisce il suo spin-off: l’attenzione si concentra sulle dinamiche interne al gruppo, sulla loro disperazione, sulla loro necessità di assecondare il gioco del re/padrone, qualunque esso sia, pur di continuare ad essere vivi; sia pure nella finzione. E un colpo di scena finale, un po’ alla maniera del Calapranzi di Pinter, lascerà il pubblico a bocca aperta.
Si tratta di un’operazione drammaturgica davvero raffinata e ben scritta: senza dubbio. Che si avvale di quattro giovani attori vigorosi (Sidy Diop, Federico Le Pera, Tiziano Panici e Brenno Placido) che colgono tutte le occasioni per trasformare il paradosso della vicenda in spunto ironico, magari comico. E far ridere in modo intelligente.