Ricordo del grande scrittore
Il tempo di Petroni
Con un dibattito sul rapporto tra letteratura e memoria e la presentazione di un inedito sull'Heysel, Lucca rende omaggio a Guglielmo Petroni in occasione dell'uscita di un saggio di Marina Margioni
«Il tempo che vivo, qualsiasi sia, è il mio, non lo rifiuto né con le negazioni né con le nostalgie con cui si beano gli uomini privi di fede. Posso vivere il mio tempo qualsiasi sia, perché non ho rifiutato molto del passato; le sofferenze, come le gioie, sono le strutture sulle quali s’edifica il presente»: è una delle frasi che sembrano programmatiche del lavoro, un ultimo libro mai terminato per la scomparsa dell’autore, Guglielmo Petroni (1911-1993). Si trattava di un romanzo autobiografico che prende spunto da un avvenimento di cronaca di una tragica partita di calcio, accaduta il 28 maggio 1985, quando a Heysel (Bruxelles), 39 tifosi furono uccisi, travolti dalle violenze provocati dagli hooligans inglesi del Liverpool.
L’inedito viene presentato oggi a Lucca al Real Collegio dove la figura dello scrittore verrà ricordata in occasione della presentazione della monografia La narrativa di Guglielmo Petroni tra realtà e memoria di Marina Margioni (Edizioni Tra le righe libri – pp. 206 – 15,00 euro) appena pubblicata e in cui all’inedito è dedicato l’ultimo capitolo. Il manoscritto ritrovato dalla Margioni è conservato all’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” di Firenze (Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux) cui lo scrittore ha lasciato tutte le sue carte.
L’appuntamento lucchese, organizzato dalla Libreria Ubik, vedrà gli interventi, presente l’autrice del saggio, del professor Paolo Vanelli, di Gina Truglio, Andrea Giannasi e Paolo Petroni, figlio dello scrittore lucchese che, con il suo romanzo più noto, Il mondo è una prigione, ha dato una delle più alte testimonianze uscite dalla Resistenza, durante la quale fu anche imprigionato dalle SS nella famigerata via Tasso a Roma nel 1944.
Il saggio della Margioni si sofferma su tre periodi storici: la formazione a Lucca e poi la Firenze delle riviste e delle Giubbe Rosse; l’arrivo a Roma con poi il momento dell’adesione al movimento Resistenziale, che lo portò all’arresto e alla detenzione in via Tasso e poi al carcere di Regina Coeli; la parte della maturità letteraria e gli altri romanzi. Quella di Guglielmo Petroni, premio Strega 1964 con La morte del fiume, premio selezione Campiello 1984 con Il nome delle parole, è una delle più coerenti testimonianze di quel travaglio culturale e, dunque, letterario che si ebbe nel dopoguerra. L’intera sua opera trovò motivo e alimento nella memoria non solo come esperienza di vita, ma come luogo in cui sono le radici del futuro, mezzo per indagare se stesso in una ricerca di armonia col mondo che è anche possibilità del rapporto vero con gli altri. La realtà, dall’infanzia fino alla maturità, si trasfigurò sempre nel ricordo, che divenne il punto di partenza di ogni analisi del contesto storico e scandì la sua vita, donandole valore. Chiarezza interiore, razionalità del pensare, dell’agire e dell’esprimersi: era la stessa esigenza che lo portò poi all’impegno civile e alla Resistenza. L’arte e la letteratura rappresentarono per lo scrittore lucchese lo specchio in cui si rifletteva e si correggeva il travaglio morale degli uomini. La memoria divenne lo strumento necessario per edificare la propria intima coscienza e per saper valutare, con animo sereno, i momenti importanti e la realtà di un mondo in rapida evoluzione, affrontati fino all’ultimo con grande coerenza e partecipazione.