La strategia dell'Isis
Una paura armata
L'attacco al Parlamento canadese (e lo sconcerto che ha provocato, più ancora che la paura) fa riflettere sulle dinamiche del terrore e del timore in due Paesi solo apparentemente così simili
Il recentissimo episodio di aggressione ai due poliziotti del Queens a New York da parte di un convertito all’Islam, Zale Thompson, provoca sconcerto. Specie dopo l’attacco al Parlamento di Ottawa, in Canada, accompagnato da spari verso il primo ministro Stephen Harper che stava parlando poco lontano e seguito all’uccisione del soldato vicino al monumento al Memoriale Nazionale di Guerra. Sebbene quello di New York possa rappresentare una sorta di “copy cat” cioè di imitazione perversa di quello canadese, la cosa produce grande tensione e paura. Prima di tutto tra i canadesi che fino ad ora non avevano mai avvertito la minaccia del terrorismo islamico a casa loro. Si tratta, invece, di un campanello di allarme che porterà al rafforzamento delle misure di sicurezza anche in quel paese. E poi tra gli americani che, come qualcuno ha scritto, si sono sentiti di nuovo violati e le immagini dell’11 settembre sono d’un tratto ritornate davanti agli occhi di tutti. Infine fanno riflettere su come vicini alle mani dei terroristi e facili da raggiungere siano i target istituzionali di ogni paese occidentale.
La dinamica dei fatti canadesi non è stata ancora completamente chiarita. E dunque non si sa se il terrorista di Ottawa, Michael Zehaf-Bibeau, un canadese convertitosi all’Islam, abbia compiuto un gesto isolato o sia parte di un piano dell’Isis. Se aveva dei complici oppure no. Come non si sa se l’uccisione lunedì scorso di due soldati nel Quebec, anch’essa compiuta da un convertito all’Islam, sia da collegarsi all’attentato al Parlamento oppure se sia un altro gesto isolato. Restano inoltre molti interrogativi sulle reazioni delle forze dell’ordine e sul perché colui che ha salvato il primo ministro e che oggi viene chiamato un eroe, Kevin Vickers, sia stato l’unico ad usare le armi.
In un bell’articolo sul Washington Post Natasha Rudnick che, si evince dall’articolo, è canadese, si chiede come mai una scena che sarebbe potuta accadere negli Stati Uniti abbia invece avuto luogo in Canada. E, scomodando Michael Moore e il suo film Bowling for Columbine del 2002, fa il punto sulla situazione canadese e sulla sua differenza con quella americana. Nel film, infatti, Moore mostrava come due paesi confinanti e con simili tradizioni siano all’opposto per quanto riguarda la detenzione delle armi. La giornalista fornisce delle cifre agghiaccianti e ci dice che nel 2011 negli Stati Uniti su una popolazione di 312 milioni di abitanti ci sono stati 11.000 morti per arma da fuoco a fronte del Canada dove nello stesso anno su una popolazione di 34 milioni di abitanti ce ne sono state 158. Cioè un morto per ogni 28.000 abitanti negli Stati Uniti di contro a uno per ogni 250.000 in Canada. Gli Stati Uniti hanno più possessori di armi di ogni paese al mondo: per rimanere all’anno 2011, ce n’erano 270 milioni. Ma il punto interessante è che la giornalista afferma che la differenza tra i due paesi sta proprio nella diversa mentalità dei due paesi rispetto alla cosa pubblica: i canadesi hanno più fiducia che il governo li proteggerà; gli americani viceversa molto meno; e si sentono autorizzati a prendere la situazione nelle loro mani.
Tuttavia qui mi permetto di aggiungere che non solo le tradizioni, ma anche la storia dei due paesi sono completamente differenti. Il secondo emendamento della costituzione americana dà diritto ad ogni cittadino americano di imbracciare le armi e dunque di averne il possesso legale. Quello stesso emendamento che permette alla potentissima lobby della NRA (National Rifle Association) di appellarsi alla costituzione tutte le volte che un presidente o un legislatore richiede una regolamentazione e criteri più restrittivi per il loro possesso. E Obama lo sa bene! Ma questo è originato dal fatto che essendo gli Stati Unit un paese di settlers, il diritto di difendersi era in passato un diritto sacrosanto. Peccato che adesso questo diritto provochi ogni giorno morti soprattutto giovani e soprattutto neri! Una tradizione democratica come quella americana è offuscata da questa macchia che continua a insanguinare le strade delle metropoli e ultimamente anche quelle delle piccola città di provincia. Una sorta di ebola contagiosa, diffusa e apparentemente impossibile da fermare. Forse, come sembrerebbero suggerire i canadesi e alcuni democratici come l’ex presidente Clinton, un po’ più di fiducia nella cosa pubblica e un po’ meno nelle abilità di sceriffo del West di ciascun cittadino americano sarebbe auspicabile.
Anche se, per onestà va detto, il caos seguito all’approvazione della riforma sanitaria di Obama ha gettato un grande discredito sul governo e sulle sue capacità di provvedere in tempi umani ai bisogni sanitari degli americani. Questo non significa che tutto il settore pubblico non funzioni e che più stato e meno privato non risolverebbe i tanti problemi di una società che per definirsi davvero democratica dovrebbe poter creare una diffusa mentalità sociale in grado di aiutare i più deboli e i meno fortunati. E questo sarà certamente un tema rovente per le prossime elezioni americane di novembre.