“Casa di carne”, edito da Avagliano
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La liquidità è il tratto distintivo della protagonista del nuovo romanzo di Francesca Bonafini dove l'acqua fa da sfondo a un pellegrinaggio indentitario e sentimentale che risuona come una composizione di Debussy. Una vicenda che si dipana da Trieste alla Normandia, dalla Bretagna al Brasile, per concludersi a Lisbona...
Con una scrittura controllata e musicale Francesca Bonafini più che raccontare, nel suo secondo romanzo Casa di carne, edito da Avagliano, “suona” una storia che ha le liquide sonorità di una composizione di Debussy. La liquidità è infatti il tratto distintivo dell’anima della protagonista Angela, naturalmente portata a sconfinare e fluire come un corso d’acqua, e a mescolarsi agli altri senza temere la dissoluzione e lo spaesamento. E l’acqua, come elemento geografico, fa costantemente da sfondo al suo peregrinare, nella ricerca dell’identità e di una collocazione sentimentale. L’acqua del mare, dei fiumi, dell’oceano. Della pioggia sul tetto di una casa di amanti. Del fiume Tago, in una Lisbona onirica che attende la coppia come ultima meta.
Angela ha perso i genitori da piccolissima. Ed è forse la sua condizione di orfana – che, da un lato, le ha reciso le radici e, dall’altro, fa di lei un’anima fluida – a sbilanciarla in una propensione al viaggio, allo sconfinamento, alla ricerca di un ricongiungimento. Da studentessa si innamora delle letterature. E le letterature sono fatte di parole che scardinano i luoghi comuni e scoperchiano il vuoto sotteso a ogni esistenza. Di questo vuoto Angela non ha paura, ma avverte imperiosa la necessità della ricostruzione di un senso. E la parola senso ha la sua radice nel sentire, nei sensi. Approdare a un senso per Angela è appunto incontrare l’amore, insediarsi finalmente nella casa di carne dell’amante, essere accolta, prendersi cura. Mescolarsi liquidamente all’altro.
Per questo a un certo punto decide di mettersi in viaggio e fa tappa a Trieste, dove il divampare dell’amicizia amorosa per Miriam placa per un po’ il suo istinto di oltrepassare, di sconfinare. Ma Miriam, che ha una faccia come un crocevia, bellissima e gitana, è incapace di amore fusionale. Il suo elemento pare essere la terra, la concretezza, a cui rimane saldamente confitta. Non sa, non può rischiare lo spaesamento e la deriva, Miriam, e i suoi itinerari esistenziali e amorosi si biforcano tra trasgressione e convenzioni. Tra l’amore per un’altra donna e la tutela di un fidanzato rassicurante. Angela, che reputa la lealtà il più alto valore nelle faccende sentimentali, riparte in cerca della sua casa di carne, senza alcuna garanzia di riuscire a trovarla.
La accompagna, in questo vagabondaggio sentimentale per lungofiumi e coste, il musicista Alessio, che al contrario di Angela ha definitivamente abdicato all’amore. Insieme attraversano la Normandia e, quando finalmente Angela giunge a sporgersi sul mare dall’estremo lembo della costa bretone, sospinta dal desiderio di cadere finalmente innamorata, ecco che incontra Tiago, e l’incanto accade. L’amore succede. Per ritrovare Tiago, quel mare amniotico, che ha sempre costeggiato, Angela lo attraversa. Va in Brasile. Ed è una sorta di ritorno alla fusione che precede il parto e, subito dopo, la rinascita a una vita colma di senso. Ma la felicità degli amanti è di breve durata. Il loro sogno di raggiungere Lisbona, città marittima che ha iniziato Tiago all’acqua e gli ha istillato un presagio di morte, diventerà l’incubo ricorrente della sua amante. Un oscuro risucchio verso un fiume delimitato da sponde di terra.