Cartolina da Londra
Elementare, Sherlock!
L'eroe della fantasia di Conan Doyle è ormai un'icona assoluta dell'identità british. E così Londra gli dedica una mostra-kolossal, presentandolo come il simbolo della propria cultura
Sherlock Holmes, l’immortale detective britannico vide i suoi natali tra il 1885 e il 1886 dalla fervida immaginazione di Sir Arthur Conan Doyle che scrisse le prime vicende in sole tre settimane. La storia vuole che Conan Doyle sia stato ispirato da uno dei suoi stessi professori universitari, Joseph Bell, che riusciva a fare diagnosi dando una semplice occhiata al paziente, così come da Auguste Dupin, figlio della mente di Edgar Allan Poe.
«Di statura, Sherlock Holmes superava il metro e ottanta ed era così magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti, salvo in quei periodi di torpore di cui parlavo prima; il naso, affilato e un po’ aquilino, conferiva al suo volto un’espressione vigilante e decisa. Anche il mento, squadrato e pronunciato, denotava salda volontà. Aveva le mani sempre macchiate d’inchiostro e di sostanze chimiche, eppure possedeva una straordinaria delicatezza di tatto, come avevo osservato vedendogli manipolare i suoi fragili strumenti» (da La Scienza della deduzione, in Uno studio in rosso). Dalle parole del fedele compagno e amico, il dottor John Watson, abbiamo già un’immagine quanto mai precisa di questo detective senza eguali, sui cui passati trascorsi aleggia però una fitta nebbia di mistero.
Chi è veramente Sherlock Holmes, perché ammalia con la sua incontrastata fascinazione, come è diventato il detective più celebre della letteratura mondiale, sono i punti su cui verte Sherlock Holmes: the Man Who Never Lived and Will Never Die al Museum of London da venerdì 17 ottobre, una delle maggiori esposizioni mai realizzate dopo il Festival of Britain nel 1951 su questo intrigante personaggio.
La mostra userà Holmes come un “prisma” per guardare da angolazioni diverse e sempre nuove la sua città, la sua eccezionale mente analitica e le sue deduzioni forensi. Alex Werner, il curatore, non ha dubbi: «Sherlock Holmes è stato un’icona culturale della città di Londra, incredibilmente potente». Ecco allora che la mostra non farà solamente luce sulle origini del celebre personaggio, verrà infatti esposto il manoscritto originale de I delitti della Rue Morgue al quale Conan Doyle si ispirò, ma anche uno spaccato sulla Londra vittoriana, con le sue nebbie, i suoi quartieri fuligginosi, i suoi loschi figuri.
Pat Harty, curatore dei dipinti e dei disegni, ha lavorato all’esibizione, selezionando le immagini che meglio rappresentassero la Londra di Sherlock Holmes. «Il paesaggio urbano, abitato dal celebre personaggio, tramanda l’immagine di una città agli albori del nuovo secolo – una città molto moderna – un grande crocevia imperiale con un’efficiente rete di trasporti e di comunicazioni. Abbiamo ricreato le idee di questi viaggi attraverso le opere d’arte. Sherlock Holmes è una presenza vista e non vista in questa città».
L’idea della mostra è nata dal grande successo di pubblico delle esposizioni precedenti su altri due grandi personaggi, Jack lo Squartatore e Charles Dickens; l’uno con la sua scia di efferati delitti, l’altro con la sua penna di realista matrice hanno entrambi contribuito a raccontare e dipingere nell’immaginario collettivo una Londra ormai perduta. Ma quella su Sherlock Holmes, è una nuova scommessa, in quanto è la prima mostra su un personaggio fittizio.
Largo spazio verrà anche dedicato alle numerosissime trasposizioni cinematografiche e televisive, saranno esposti anche gli abiti che l’attore Benedict Cumberbatch indossa nella recente e fortunatissima serie, record di ascolti, della BBC Sherlock.
La nostra percezione dell’immortale detective dalla pipa e il cappello, dall’acume imbattibile e stravagante è andata ben oltre i tratti di inchiostro e calamaio di Conan Doyle. Essa è stata modellata da anni di rappresentazioni cinematografiche, teatrali e televisive perché tale personaggio ha travalicato i bordi della pagina scritta, non più caricatura letteraria e fittizia, ma entità autonoma, indipendente dall’autore.
Per esempio, l’immagine immortale del celebre investigatore con il suo cappello di tweed è il prodotto della fantasia dell’illustratore Sidney Paget, i cui disegni accompagnarono le vicissitudini poliziesche di Holmes pubblicate nello Strand magazine a partire dal 1891. Ancora, Sherlock Holmes non pronuncia mai la celeberrima frase “Elementare, mio caro Watson”, dice invece “Elementare” e “Mio caro Watson”. La coniazione di quella che è una delle citazioni più famose nella storia della letteratura nonché un tratto distintivo della tracotante pienezza di sé del personaggio è avvenuta solo successivamente.
Sherlock Holmes è quindi sfuggito ai confini delle sue stesse storie, così come dal tentativo del suo stesso autore di ucciderlo. Questo è ciò che succede quando si diventa un mito, così come Miguel de Unamuno, grande filosofo e scrittore spagnolo, aveva acutamente teorizzato nel suo Vida de Don Quijote y Sancho, laddove affermava che grandi personaggi, come per l’appunto Don Chisciotte e Sancho Panza, avevano conquistato la propria indipendenza dalla creazione cervantina. Ed ecco allora perché Sherlock Holmes è “l’uomo che non è mai esistito” e che, allo stesso, “non morirà mai”.