Erminia Pellecchia
Parla il presidente dell'Aned, Dario Venegoni

Censura ad Auschwitz

Fa scandalo la decisione ultimativa del governo polacco di smantellare l'installazione “Memoriale” con la quale, dal 1980, gli artisti italiani ricordano i propri morti ad Auschwitz

«Visitatore osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte…». Benvenuti all’inferno. Inizia con il monito di Primo Levi il viaggio nell’orrore. Ad Auschwitz. «Nel luogo dove si è toccato il fondo delle barbarie». Block 21, il padiglione italiano all’interno del museo dell’ex campo di concentramento polacco: «Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile». Ma il primo passo sul cammino dolente da percorrere è difficile. Davanti a te si apre una voragine pronta ad inghiottirti, devi decidere se affrontarla per risalire alla luce, devi combattere con i fantasmi della coscienza. Ti impone una scelta, devi attraversare un brutto sogno. Unica guida, nella spirale che ti avvolge  col suo cromatismo violento, è una passerella di legno lunga 80 metri che evoca i binari dei treni del non ritorno; dalle finestre che ritmano il gioco di luci e ombre di questo scenario da incubo la visione, altrettanto sconvolgente, degli altri blocchi del lager nazista. L’installazione “Memoriale Italiano”, realizzata, per volontà dell’Aned (associazione nazionale ex deportati) ed inaugurata nel 1980, è il frutto del lavoro corale e della passione di uomini di valore come Primo Levi, Lodovico Belgiojoso, Luigi Nono, Nelo Risi, Pupino Samonà: uno scrittore, un architetto, un musicista, un poeta e un pittore, testimoni in prima persona di una grande, indimenticabile tragedia che con quest’opera eccezionale, grido di rabbia, di dolore e denuncia, hanno eretto un monumento alla memoria, a che non si cada più «nella follia dei totalitarismi». Permanente, al di là di ogni revisionismo e rimozione.

Nelle intenzioni. Senza tenere, purtroppo, conto delle logiche della politica che il più delle volte, per non dire sempre, cozzano con quelle dell’arte. È una differenza di statuti, il politicamente corretto che fa a cazzotti con quanto crea imbarazzo. Mettere il bavaglio a chi trasgredisce. E la sorte di tante opere d’arte, soprattutto contemporanee, tocca ora anche al Memoriale italiano nato per dare voce, citando Levi, «ai fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo, ai partigiani, ai combattenti politici, alcuni catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, morti qui mentre il Terzo Reich crollava». Non ci sarebbe bisogno di fare numeri, ma se proprio è necessario, utilizzando le stime Aned riferite all’Italia, parliamo – lo sottolinea il presidente Gianfranco Maris – di 8000 ebrei e 32000 uomini e donne italiani deportati perché oppositori del fascismo e del nazismo, intellettuali, omosessuali, suore e preti, gente comune. Persone scomode, come scomoda viene considerata oggi, a quasi 70 anni dalla liberazione di Auschwitz, l’installazione del Blocco 21, da subito osteggiata e dal 2012 oscurata al pubblico. Da smantellare, impacchettare e portare via – questo l’ultimatum della direzione del museo polacco – entro il 30 novembre. Dichiarazione ufficiale: «Non corrisponde ai criteri pedagogici e illustrativi indicati per le esposizioni nell’ex campo di sterminio». A dire: un’opera di fantasia non è comprensibile, ci vogliono pannelli didattici e fotografici per acquisire la conoscenza dell’ignominia. Assurdo. Ipocrita. Perché dietro c’è la scure della censura.

memoriale italiani auschwitz1Il governo di Varsavia, che ha varato una legge sulla messa a bando dei simboli comunisti, boccia l’intervento di “realismo sovietico”, sospeso tra futurismo e figurativo, del “comunista” Samonà. Proprio non scende giù quel “turbine mnemonico”, quell’affresco su tela in 23 strisce, ventitré capitoli di una narrazione spietata, dal 1922 al 1945, che ripercorre la nascita del fascismo e del nazismo, la Resistenza e la deportazione e che è scandita da colori icona, il nero della dittatura, il rosso del socialismo, il giallo del mondo ebraico, il bianco del movimento cattolico. Un tunnel visionario abitato dai corpi e volti diafani dei martiri, a partire dagli operai di Torino del 1923. Le figure spettro di Gramsci, Matteotti, don Minzoni, Turati e i fratelli Rosselli si alternano al ritratto di Mussolini, il nero sfuma nel bianco, si imbeve di colore fino alla predominanza rossa. Nella trama del racconto l’oscurità è interrotta da simboli, tra cui il rincorrersi di falci e martelli. Cancellateli, si sussurrò nei corridoi diplomatici anni fa, comparve addirittura, ad insaputa dell’Aned, un emendamento nel decreto Mille proroghe di Prodi con lo stanziamento di 900mila euro per il restauro-rimozione.

«Dal 2008 – accusa Dario Venegoni, vicepresidente nazionale dell’associazione che riunisce gli ex deportati, i familiari dei deportati uccisi e chi intende salvaguardare la memoria della deportazione – nessuno dei governi che si sono succeduti ha ottemperato all’elementare dovere di difendere questo rilevante bene culturale, che ha onorato l’Italia nel mondo, dal tentativo di una prevaricazione politica su un’espressione della cultura. Prevaricazione tanto più grave, in quanto attuata da un nostro partner nell’Unione europea». L’Aned ha combattuto la sua battaglia per far rimanere il Memoriale nel luogo dove è stato concepito. «Perfino ricorrendo al Tar – ricorda il giornalista milanese –. Non siamo stati a guardare. Abbiamo coinvolto l’Accademia di Brera e l’Isrec, al nostro fianco i sindacati degli edili. Abbiamo cercato una mediazione, pur non condividendo l’idea di sfregiare quest’unicum con integrazioni didattiche, e messo a punto con Elisabetta Ruffini, a capo del pool di restauratori, il progetto Glossa per inserire delle esplicazioni in alcuni punti della spirale. Non è servito a nulla, ormai abbiamo un braccio dietro la schiena, la sconfitta è evidente, dobbiamo inchinarci a decisioni scellerate che mortificano la nostra storia, la scia di sangue che ha bagnato l’Italia dai primi del Novecento, la presa di coscienza della primogenitura della dittatura fascista che ha innescato l’orrore, ma anche quella di aver spianato la strada alle libertà democratiche. Tra gli operai di Torino e le vittime della Shoah non c’è differenza, Samonà ha costruito una bandiera contro i regimi totalitaristici e i crimini all’umanità». Inutile anche il decreto del 2012, espresso all’unanimità dal Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici: «Il Memoriale rappresenta un irrinunciabile luogo della memoria in un momento in cui si vanno affermando pericolosamente vari tentativi negazionistici e una diffusa tendenza alla rimozione». Vano l’appello del ministero per i Beni e le Attività culturali alla direzione dell’ex Kz di Auschwitz-Birkenau a non cancellare questo importante monumento alla memoria che deve rimanere lì dove è stato pensato.

Troppo tardi. La scadenza incombe e i polacchi sono chiari: venite a riprendervi l’installazione o ve la facciamo trovare già imballata, e a spese vostre. Si cerca di correre ai ripari, il ministro Franceschini studia soluzioni col pensiero, però, rivolto soprattutto a non perdere le stanze del Blocco 21 che potrebbero essere destinate ad altri Paesi, tipo l’Ucraina. A sollecitare un nuovo progetto per Auschwitz è poi la comunità ebraica di Roma. «Quello attuale – rimarca il presidente Riccardo Pacifici – al di là della scritta di Primo Levi, nulla racconta della deportazione italiana. Costituiamo un comitato con l’Unione delle comunità ebraiche italiane per sviluppare un’opera di narrazione sul modello di quella allestita dalla Francia». Intanto, caduta la speranza di portare il Memoriale al museo di Carpi o a quello di Prato, i primi a farsi avanti per ospitare l’opera e salvaguardarne la fruizione e i primi a tirarsi fuori di fronte al problema gestione, si sondano altre possibilità. «Ci sarebbero l’Ex 3 centro per l’arte contemporanea di Firenze o le ex Carceri di Torino che hanno offerto la loro disponibilità – dice Venegoni – il guaio grosso resta il reperimento dei fondi col rischio che il Memoriale giaccia nei depositi, rovinandosi». Fate presto urla l’Aned, trovate una nuova dignitosa collocazione che possa essere meta di pellegrinaggi, soprattutto da parte delle scuole. E, nel documento inviato a Renzi, l’associazione rivendica il diritto dell’Italia a mantenere una propria installazione al Blocco 21 e il «proprio inalienabile diritto di concorrere alla progettazione e realizzazione del nuovo allestimento nel ricordo di tutti i deportati italiani».

Facebooktwitterlinkedin