Il nostro inviato al Lido
Sostiene Sabina
A Venezia passa (tra gli applausi) il documentario di Sabina Guzzanti contro Scalfaro e Napolitano sulla trattativa Stato-mafia: farà discutere... Più ottimista, invece, l'Italia "montata" da Salvatores
Oggi era il giorno molto atteso e molto temuto, almeno da Alberto Barbera, della,proiezione de La trattativa, opera fuori concorso di Sabina Guzzanti. La storia è la solita, ma non è la solita storia. Nel senso che la ricostruzione della nascita dei Forza Italia grazie ai buoni uffici della mafia permette allo spettatore, grazie ad una messinscena teatrale e complice, finanche ironica, di ripercorrere alcune delle tappe più importanti della storia d’Italia.
Il film parte con le responsabilità solo da alcuni organi di stampa sottolineati, come ad esempio il sodalizio (è un po’ forte?) tra i poteri forti dello Stato e la mafia stessa. In particolare per l’applicazione dell’articolo 41bis sul carcere duro. La Guzzanti punta l’indice, prove alla mano, contro il defunto Oscar Luigi Scalfaro e con l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Va detto che Sabina Guzzanti, ed è sufficiente un po’ di memoria, non ha mai raccolto le nostre simpatie, ma i giudizi raccolti, insieme all’applauso finale della proiezione stampa, ci fanno propendere per l’impressione, via via sempre più consolidata, che il film farà molto discutere. La verità, perdonateci il termine, è che certe cose proprio non le vogliamo vedere e che certi personaggi, tipo la Guzzanti stessa, vanno bene solo se parlano contro Berlusconi, bersaglio grosso, fin troppo, peraltro colpito ed affondato (si fa per dire) dalla pellicola. Il film può avere molti difetti, ma i pregi a nostro avviso sono di gran lunga superiori, ed uno di questi è il coraggio.
Ieri abbiamo visto invece l’interessante operazione di Gabriele Salvatores, Italy in a day. L’ottobre scorso, in un’operazione governata dalla Rai e in particolare da Paolo Del Brocco, è stato chiesto agli italiani di filmare la loro giornata. Tra le migliaia di ore girate il regista premio Oscar ha assemblato un film di circa 80 minuti, intelligente, montato benissimo e pure toccante. A dimostrazione che gli italiani, che sono certo un po’ fregnoni, non mancano di protagonismo, di lacrime, di speranze e di delusioni. Non sappiamo se l’opera sia omogenea e in percentuale rispondente al materiale nel suo insieme, ma è certo che in alcuni momenti ci si aspetta di vedere anche Matteo Renzi con qualcuna delle sue girls, tanto è prevalente il messaggio ottimista che viene fuori. È pure vero che alcuni, anziani e giovani senza distinzione, ci hanno messo molto della loro disperazione e solitudine, ma questa veniva poi controbilanciata da gavettoni di ottimismo, in pieno stile ice bucket challenge.
Infine un film in concorso, un altro francese, mon dieu. No, scherzi a parte tra quelli d’oltralpe questo è il prodotto migliore. Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte è un film sobrio, ben recitato e con una struttura semplice ma efficace. A dimostrazione che l’autorialità può essere tale, nel senso migliore del termine, senza essere sfacciata. Pensiamo ad un altro film (presentato fuori concorso): Tsili di Amos Gitai, palesemente tirato via, senza una precisa identità stilistica e punitivo oltre ogni ragionevole concessione all’indaffaratissimo regista. Forse dovrebbe fare meno cose, ma meglio. Come, ad esempio, il bellissimo e potente episodio contenuto nel film collettivo Words with god.
Clicca qui per sentire applausi e fischi dopo la proiezione del film di Gitai