Giuseppe Grattacaso
Il «Festival delle lettere» a Milano

La pubblica intimità

Stefano Gabbana ha scritto una lettera d'amore (finito) a Domenico Dolce e l'ha recapitata tramite il Corriere della sera: non si scrive più a una persona, ma al pubblico. Evviva!

«Caro Domenico, non ti ho mai scritto una lettera. Forse perché tra noi non c’è mai stato bisogno di tante parole. Ci siamo sempre intesi con uno sguardo. Questa è la prima volta che ti scrivo e, devo confessartelo, tutto questo mi sembra strano». In effetti, un po’ strano è: non tanto che l’autore della missiva Stefano Gabbana scriva la prima lettera a Domenico dopo che «sono trascorsi tanti anni da quando ho sentito per la prima volta la tua voce dall’altra parte del telefono», né che questo avvenga un bel po’ di tempo dopo la fine della loro relazione di coppia, quanto perché la lettera, invece che sulla scrivania di Domenico Dolce o sul suo comodino (ma ce l’hanno il comodino, gli stilisti?), finisca sulle pagine del Corriere della Sera, come anteprima del Festival delle Lettere (da non intendersi come opere di letteratura, ma appunto nel senso nudo e crudo di epistole). La lettera di Gabbana, sia pure in maniera spesso scontata, tratta di questioni legate al rapporto affettivo della coppia, fa riferimento a sentimenti intimi: «L’amore che provavo allora si è solo trasformato, continuando a darmi tante bellissime sensazioni».

In tempi di comunicazione veloce non si scrivono più lettere e le mail, che percorrono quotidianamente la rete in numero esorbitante assomigliano sempre di più agli sms. Sono prive della formule di circostanza, vanno subito al sodo, sbrigano la faccenda in due parole, a volte non portano nemmeno in calce il nome di chi scrive. Insomma dicono poco o nulla, e se il poco c’è difficilmente è di carattere privato.

Le lettere che non servono solo a dare delle informazioni, ma a comunicare anche stati d’animo e sentimenti (che insieme al comodino di qualche rigo più su sono parole desuete, suonano d’antico, come lettere scritte a mano), diventano subito pubbliche. Si scrivono su un social network o approdano immediatamente sulle pagine di un quotidiano. Dolce e Gabbana non si sono mai scritti una lettera, ma la prima che uno dei due invia all’altro verrà letta (il 3 ottobre per chi fosse interessato) al Festival delle Lettere. Insomma per scrivere di faccende private abbiamo bisogno non di un destinatario, ma di un pubblico.

Ripenso ai versi di una poesia di Izet Sarajlic: «La lettura del romanzo di Kaverin mi ha ridato voglia di scriverti lettere d’amore. / Ma tu non vai da nessuna parte, nemmeno a Trebinje. / Io non posso mica scriverti dal salone della cucina. / Che direbbe la nostra liceale? Che suo padre è diventato scemo!». La poesia In gloria delle lettere d’amore (la traduzione è di Sinan Gudzevic e Raffaella Marzano) prosegue con il poeta che invita la moglie ad andare lontano, così che lui possa scriverle qualche lettera, e si conclude così: «Ecco, vedi, non ti sei allontanata e c’è già una lettera intera per te. / Immagina quante lettere ti avrei inviato se tu adesso fossi a Parigi. / Ma Parigi è pericolosa, potresti lasciarti contaminare dal gauchisme / e rimproverarmi che nelle mie lettere sono diventato sentimentale come certi borghesi».

Credo che Sarajlic non avrebbe nessuna voglia di partecipare al Festival delle Lettere. Lui che è stato a Parigi sa che oggi “certi borghesi” scrivono lettere d’amore che inviano solo quando sanno che a leggerle saranno almeno qualche migliaio di persone.

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