Alberto Fraccacreta
Omaggio al Boss che ha compiuto 65 anni

Amore è libertà

Rilettura filosofica di una canzone di Bruce Springsteen priva di orpelli e strizzate d'occhio, che suona come un appello ad amare in modo adulto, nella reciproca comprensione, nell'accettazione dell'altro per come è. Così “Lift me up” evoca Dante, Simone Weil, Erich Fromm...

«Lift me up, darling, lift me up and I’ll fall with you lift me up, let your love lift me up». Un insolito, pettinato Bruce Springsteen avvolto da giacca di pelle American Graffiti e paesaggio scandinavo, senza traspirazioni da backstage, né voce roca, né micidiale tempra, canta in falsetto – con insperata dolcezza – versi di tremore paradisiaco (http://www.youtube.com/watch?v=71g3Wzgev8U).

Riporto di gitto, direbbe Montale, la pri­ma strofa: «Non ho bisogno delle tue preghiere esaudite,/ o delle catene che il tuo amante indossa./ Non ho bisogno dei tuoi anelli d’oro,/ o dei segreti che impugni./ Sollevami, amore,/ sollevami e cadrò con te./ Lascia che il tuo amore mi sollevi». L’apparente semplicità lirica nasconde il sentiero frastagliato di logiche espugnazioni della coscienza, le quali adducono alle più riposte realtà dell’amore.

I don’t need: una spia significativa: il non aver bisogno, non crollare nel gaberiano “uomo-bambino” (Cfr. Quando sarò capace di amare), non pretendere, non esercitare il comando astruso della passività. Le “preghiere esaudite” denotano una seria incertezza, quel timore veemente che l’Ewigweibliche, l’Eterno Femminino si dilegui nel calembour dei sì e dei no. Non ho bisogno di questo: non ne ho paura.

E poi: non mi servono le catene del tuo amante. Esse dilacerano il polso, tendono alla scorza della terra, spalancano il serraglio. Non importa. L’amante, il Terzo, l’avversario non può entrare in questo campo circoscritto – che è l’amore – nel quale gelo e fuoco sono il Medesimo; una visione integra, come la bolla del ghiacciolo, si cristallizza in un cerchio rovente. Caldo e freddo sin nelle loro proprietà essenziali adesso si compenetrano: lì non può arrivare nessuno, se non chi è termine fra i due. Gli anelli d’oro (l’esteriorità) e i segreti impugnati (gli abissi) neanche possono qualcosa, perché, pur nel costatarsi dell’effettiva manchevolezza di ogni creatura, lo splendore acceso non perde in intensità, lucernaio incomprensibile – e ogni cosa rimane miracolosamente intatta. Per questo: sollevami ora che le catene degli altri e di noi stessi sono vinte. Sollevami ora che possiamo, e cadremo insieme.

Simone Weil, ne L’ombra e la grazia, suggerisce: «Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimetter loro questo debi­to. Ac­cettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione, vuol dire imitare la rinuncia di Dio. Anch’io sono altra da quella che m’immagino essere. Saperlo è il perdono».

Un amore che desideri avere possibilità di sopravvivenza non può commettere l’omicidio dell’immaginazione, del creare nuovamente l’altro senza tener conto del suo essere così, puntualmente così,piuttosto che in differente maniera. L’immaginazione colma quei vuoti che, acerbi, non riusciamo a sostenere. L’immaginazione falsa uccide la dignità, lede la presenza. Rinunciare all’immaginazione significa amare gli enti come sono in realtà. E accettarne lo scacco. Springsteen, in tutta questa prima strofa, sembra bisbigliare: a me non interessa se di fatto esistano forze “bloccanti”, protese all’edificazione di un grande falansterio del possesso; a me interessa ciò che non ha interesse: il sollevamento. Lift me up: può assomigliare a una forma retrospettiva dell’inoperosità: sollevami, rendimi libero; fallo tu, non io. Ma diviene, a onor del vero, l’esercizio di una maggiore qualità dell’azione. Il sollevamento, nel suo significato metaforico, è precisamente l’osservare l’altro non in funzione di sé, dunque nell’indolenza dell’essere amati, bensì nella manifestazione della sua pura esistenza che è atto perdurante, partecipazione, tregua nell’apertura.

Una difficile conoscenza: «Questo decreto, frate, sta sepulto/ a li oc­chi di ciascuno il cui ingegno/ ne la fiamma d’amor non è adulto» (Par., VII 58-60). L’amore, come ha rilevato lo psicanalista Erich Fromm, necessita di essere adulto, di maturare nella reciproca comprensione superando l’impasse di uno stadio embrionale, e di recare a sé una fede che abbia il manto ardente, un suono lieve («I’ll take the faith the daylight brings»).

Il singulto della volontà che giace nei greti del consenso tematizza una sospirata (alquanto) libertà di amare, – povera e indelibata. Essere liberi di amare è il pensiero stesso del sollevamento, la sua concausa fenomenica: non c’è più nulla che agisce come un peso grave, mortalmente. La leggerezza s’impadronisce dello spazio mentale inondato di una luce scintillante, a doppio taglio: capace in simultanea di vedere senza schermi e ri-creare senza illusioni.

Dunque, benché modulata su un testo piano, privo di orpelli smaganti e strizzate d’occhio, questa canzone (quasi misconosciuta) del Boss acquista oggi, nei giorni successivi al suo sessantacinquesimo compleanno, l’emblema di un dono ricevuto e non accolto. La dalia tuberosa di un appello.

 

Lift me up, darling

Lift me up and I’ll fall with you lift me up

Let your love lift me up

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