Un bell'esordio narrativo
L’amore di Stalin
Il venticinquenne Iacopo Barison ha scritto la storia di un adolescente inquieto (chiamato Stalin per i suoi baffoni) che sogna di girare un documentario globale e ama una poetessa non vedente
Il romanzo del venticinquenne Iacopo Barison, Stalin + Bianca (Edizioni Tunué, 175 pp., euro 9,90) è presto diventato un caso letterario. Scritto in forma di monologo, quasi flusso di coscienza, a tratti lirico, è la storia di un diciottenne soprannominato Stalin, a causa dei baffi e del temperamento collerico, e della sua amica del cuore, Bianca, non vedente, saggia, poetessa e bellissima. Durante il corso della vicenda i due cercheranno di fuggire, dopo un misfatto di lui, da un mondo povero e predeterminato, alla ricerca di quegli assoluti che l’adolescenza pretende.
Stalin è un diverso, non è ben visto dai suoi coetanei, prende dei farmaci per l’ansia, reagisce facilmente con violenza ed è considerato uno spostato. La sua, è una famiglia smembrata, con una madre che lavora giorno e notte al call center di un’azienda e il suo compagno, un ex raver irrisolto, con cui il protagonista ha non pochi conflitti.
Stalin sogna di diventare regista ed è felice solo quando spera in un futuro che ancora non c’è, invece è costretto ad affrontare, contemporaneamente a un impiego legale, un losco lavoro di estorsione per conto dell’anziano custode Jean, suo unico amico oltre Bianca. Usa la telecamera per dare voce all’esistente che lo circonda. Accende e comincia a riprendere gli ambienti, la neve, sempre presente in quelle periferie distopiche qui ben descritte, le persone che gli sono accanto, gli oggetti, le movenze inconsapevoli. Registra dettagli, intrappola istanti. Sogna di creare una grande opera realistica e documentaristica. Bianca è per lui la donna delle idealizzazioni. Forse proprio per questa identità di differenze, che genera nei due un rapporto empatico di misteriose intese, il loro amore sembra, nonostante tutto, incontaminato. Lei ricorda un personaggio di un racconto di Herman Hesse, in cui disagio e maturità sembrano coincidere, ed è interiormente agli antipodi rispetto al protagonista, il suo complementare, senza di lei lui stesso perderebbe di senso. I due si raccontano il mondo con visioni del tutto originali, in quella distorsione immaginifica che genera significati profondi.
La voce ricorda a tratti L’isola di Arturo della Morante e, per alcuni dettagli, all’inizio, vagamente, il film Pietà di Kim Ki Duk, per il lavoro illegale di Stalin, ad esempio. Barison descrive bene la miseria delle città e delle periferie, l’impoverimento della classe media, e l’anomia in cui il presente è piombato con i suoi vuoti di senso, «…e la circonferenza ovale dello stadio ci fa sentire protetti e al sicuro dalle guerre mondiali e dalle catastrofi nucleari, dai capi di governo che si stringono le mani guardando i fotografi, dagli omicidi dei rapper, e dalla seducente armonia delle cose pericolose.»
Si tratta di una scrittura visiva, cinematografica, colta e ricca di digressioni. La struttura è piacevolmente flebile, nella direzione di un romanzo di formazione sperimentale. Come si era detto, nonostante i molti dialoghi, la voce appare chiaramente monologica, quasi un flusso di coscienza che miscela fatti del presente e ricordi in un legame fluido e vicino a una dimensione onirica. Un sapiente utilizzo dell’aggettivazione, della metafora e della metonimia, arricchisce il testo di descrizioni non pienamente realistiche, piuttosto filtrate dall’immaginario post-adolescenziale delle iniziazioni. Un’ossessiva ricerca della bellezza da imprimere a un mondo in frantumi è il forte movente di una generazione che cerca tracce di infinito tra le rovine. Nelle forme della differenza e dell’apparente brutalità del protagonista si cela in realtà il ritratto di un’innocenza, quella di chi non guarda al reale con la disillusa freddezza degli adulti ma è già lontano dall’idealizzazione illusoria tipica dell’infanzia. Il romanzo ripercorre le tracce di una dolorosa e, per certi versi, maledetta iniziazione.
«La biomeccanica dell’uomo adulto soppianta quella del ragazzino. Movimenti più fluidi, sincronizzati con il dolore. Le ruote fischiano sull’asfalto e di colpo mi investe un dubbio, un’epifania in cui mi perdo, senza trovare una soluzione. Cosa racconterò a Bianca?»