Il nostro inviato al Lido
L’Alba di Venezia
La Coppa Volpi a Alba Rohrwacher segna la strada che il cinema italiano dovrebbe seguire: umiltà e feroce applicazione. Ma quest'anno (malgrado una rassegna modesta), tutti i premi hanno convinto
La 71^ edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si chiude con una buona notizia e un avvertimento per il cinema italiano. La strameritata Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher (grande anno per le sorelle!) interprete di Hungry Hearts di Saverio Costanzo è infatti la dimostrazione di come senza lavoro, umiltà e feroce applicazione il talento possa fare ben poco. L’ostinata normalità di Alba è davvero un motivo di orgoglio per il nostro cinema, così come l’altra Coppa Volpi, quella assegnata ad Adam Driver per lo stesso film. La bravura dell’attrice italiana è fatta di istinto ma anche e soprattutto di padronanza emotiva e misura. Un esempio per chi intraprende questo mestiere.
Il Leone d’oro, ci duole dirlo, è stato assegnato ad un film svedese che non abbiamo visto. Capita, e vi assicuriamo che non siano i soli. Un piccione sul ramo che riflette sull’esistenza dello svedese Roy Andersson meriterebbe il premio solo per il titolo. Ci riserviamo un giudizio al momento della sua uscita, per adesso possiamo solo dirvi che le prime parole pronunciate dal regista dopo l’assegnazione dell’ambìto riconoscimento sono state dedicate alla trama di Ladri di biciclette. Almeno a gusti direi che ci siamo proprio. Pure strameritato il Gran Premio della Giuria a The Look of Silence di Joshua Oppenheimer sul quale non c’è nulla da dire, se non da parte di Tim Roth che, ce lo ha fatto capire molto chiaramente, lo avrebbe messo sul gradino più alto del podio. Leone d’Argento al grande Andrej Končalovskij, autore di un divertente film con attori non professionisti. A ben vedere avrebbe potuto essere un magnifico reality. Ci piace ricordare anche il Premio per la migliore sceneggiatura a Rakhshan Banietemadi per il film GHESSEHA (Tales), che avevamo definito un piccolo miracolo (in particolare il dialogo finale).
Vi confessiamo che abbiamo temuto che i premi prendessero altre direzioni, anche perché certi giudizi e certe pagelle ci avevano fatto trasalire. Ad esempio il film di Alejandro González Iñárritu, Birdman, aveva “acchiappato” molto. In realtà trattasi di specchietto per le allodole, che evidentemente sono tante e verso la fine dell’estate frequentano il Lido. Qualcuno ha pure avuto il coraggio di dire che nel disastroso Pasolini di Abel Ferrara almeno la prova di Willem Dafoe aveva messo tutti d’accordo. Ma su cosa? Sul fatto che sia un grande attore? Ma certo, non in questo film però, travolto da una delle sceneggiature più imbarazzanti e scombiccherate di tutti i tempi. Abbiamo letto in proposito delle recensioni di un complicato che non potete nemmeno immaginare: per poi concludere che l’operazione non è riuscita. Appunto, in questi casi il paziente muore, come gli spettatori.
Per concludere, una rassegna di film piuttosto modesti. Molte le chiacchiere, quasi tutte addosso. L’ultimo pensiero per Francesco Munzi e per il suo Anime nere: avrebbe meritato più attenzione, ma siamo sicuri che il suo film, non un capolavoro ma un buonissimo film, otterrà in un modo o nell’altro i riconoscimenti che merita. Com’è triste Venezia, solo un anno dopo.