Fa male lo sport
Pasticcino presidente
Specchio del Paese, anche la casa di Maranello si sta frantumando in mille pezzi, suscitando delusione e nostalgia per un passato dove già volavano le bacchettate, peculiarità non solo di Marchionne. Come quelle destinate nel 1991, in un clima di veleni, al cuoco della Ferrari...
E se facessimo Pasticcino presidente della Ferrari? Certo, gli americani storcerebbero il muso, Marchionne dovrebbe stilare un curriculum che neppure lui conosce: figurarsi, Pasticcino, come glielo spiego ai soci della Chrsyler? Uno che ha fatto il cuoco per venti e più anni dentro i motor home Ferrari, uno che da del tu alle tagliatelle al sugo e che riusciva allora a farle mangiare anche a John Barnard, quell’altro scienziato che non azzeccava una Rossa e che odiava la pasta italiana, esempio unico al mondo, e che quando sedeva nel paddock chiedeva impaziente a Pasticcino: «Ma c’è ancora molto da aspettare per queste benedette tagliatelle?».
Ti acchiappano botte di nostalgia, eh sì. In modo che uno debba sentirsi vecchio per forza di cose. Se ogni volta ti costringono a girare la testa e guardare al passato. Che non è che fosse meglio. Ha ragione Luchino, così Enzo Ferrari chiamava Luca Cordero di Montezemolo, quando dice che quando lui prese in mano la Ferrari, a Maranello sognavano di vincere qualcosa soltanto di notte, restarono al buio per vent’anni. Non dice che sono rimasti senza luce anche per molti anni sotto la sua guida, fino a quando andò a prendersi Todt e Schumacher. Per dire che la scuderia di Maranello ne ha visti di momenti critici, eccome, stava quasi per chiudere a un certo punto. Noi vediamo i piloti, i grandi manager, gli ingegneri, i meccanici delle corse, le belle figliole: tutta roba luccicante e vippaiola almeno nei top-team, ma per arrivare a vincere ci sono quelli che sudano a Maranello e dintorni, ingegneri e tecnici che a volte ci passano anche le notti a costruire, migliorare, rombare. Che ci campano con il lavoro su quelle macchinette. E che conoscono bene gli anni di magra, la vittoria che non arriva, il lavoro che diventa incerto.
Non c’è da stare allegri con uno come Marchionne. Loro cascano sempre in piedi, nonostante i disastri. Loro, i Montezemolo e i Marchionne. Che ora stanno trattando la buonuscita: Luchino è uno da 5/6 milioni l’anno. Certo nessuno è indispensabile, però costa, e come costa: gli Agnelli devono sborsare, dicono i bene informati, più di 300 milioni per dire addio all’ex prediletto dell’Avvocato. Cadono sempre in piedi, perché pare che poi Luchino andrà a sedersi sulla sedia prestigiosa di Alitalia-Etihad, sempre secondo i bene informati (che poi sono spesso i peggio informati). Ma se non sarà lì, sarà ricompensato altrove. Deve risollevarsi, poveretto, da questo periodo di fallimenti e frustrazioni: anche Ntv va male e Italo rischia di deragliare. Tant’è che sono pronti già a cacciare un po’ di gente che non ha però redditi milionari.
Divagazioni. La nostalgia, dunque. O il passato che ritorna. Pasticcino me lo fece conoscere Carlo Marincovich, un gran raccontatore di Formula Uno e di molte altre cose, sulle pagine di Repubblica. Non che fosse un chiacchierone, ma di ritorno da qualche circuito Carlo prendeva a parlare con ironia e distacco del Gran Circo, se ne aveva voglia. E ne scriveva anche. Ecco, ad esempio, un pezzo dell’8 settembre del 1991, alla vigilia di una corsa a Monza, che ho ritrovato nell’archivio di Repubblica.it. Non è una scelta a caso, non vi fate ingannare dalla data, potrebbe essere stato scritto la settimana scorsa alla vigilia del Gran Premio che si è svolto domenica, 7 settembre 2014. Ci troverete anche Pasticcino e le Ferrari che vanno lente come due lumache. Come quelle di oggi, giusto per dire dei corsi e ricorsi della storia. Un bel clima al veleno anche allora.
«Ballerine di terza fila. Ecco le due Ferrari che partono oggi davanti allo scarso pubblico di Monza…». Un attacco che è una stilettata vibrata con grazia e cattiveria assieme. «Alesi parla male del motore e si offende l’ingegner Massai… L’ingegner Castelli lo tengono segregato affinché non parli con i giornalisti. L’ingegner Mazzola continua a scrivere mentre Prost detta… Perfino Pasticcino, il cuoco della Ferrari, è nell’occhio del ciclone. A metterlo nei guai una frase che viene attribuita a Fiorio ma che invece di Fiorio non è. A bordo del Destriero, pochi giorni fa in Sardegna, qualcuno scherzando con la Ferrari disse: va a finire che chi comanda è Pasticcino. Tutti risero e la frase fu riportata tra virgolette come se l’avesse detta Fiorio. Apriti cielo per Pasticcino che ora verrà consegnato al Kgb di Maranello. Questa disavventura dell’innocente Luigi Montanini, in arte Pasticcino, fa capire meglio di ogni altra cosa come alla Ferrari sia aperta la caccia alle streghe… Riunione tecnica. Un ingegnere si spaparanza con i piedi sul tavolo all’americana e dice che la tale soluzione tecnica è una cavolata. Claudio Lombardi si toglie gli occhiali e lo fulmina: “Lei si segga composto, mi chieda scusa e poi fornisca spiegazioni attendibili anziché giudizi”. Silenzio agghiacciante.
Ecco, la Ferrari funzionava e funziona così. Ci vogliono le bacchettate da collegio per rimetterla in riga». La Ferrari funzionava e funziona così. Il brutto di oggi è che anch’essa si è omologata al resto del Paese. Che si sta frantumando in mille pezzi. La nostalgia, meglio la malinconia, sgorga proprio da questo: dall’impossibilità di imporre, come un tempo, la genialità dei propri prodotti. Ma un cheeseburger potrà essere mai più buono di un piatto di tagliatelle?