Al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari
Facce da comunisti
Tornano dagli archivi le foto che Mario Carnicelli scattò il giorno dei funerali di Togliatti, nel 1964. Un documento antropologico sulla “normalità” dei comunisti di allora. Prima che «mangiassero i bambini»...
Facce da comunisti. Chi in giacca e cravatta, chi senza. Molti maschi col basco, anche se era il 25 agosto; e le donne – molte donne – con la veletta e l’abito a pois. Le signore con la sporta e quelle con i fiori; i bambini che non resistono e guardano dentro all’obiettivo. Facce da comunisti contratte, senza epica, spesso senza pugno chiuso, senza rabbia: solo un forte senso di identità condivisa. Ma prossima alla disperazione: metà per la morte del leader, metà per l’incognita futura. Le fotografie di Mario Carnicelli che, a cura di Baerbel Reinhard e Marco Signorini, sono esposte a Roma al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, raccontano i funerali di Togliatti in un modo diverso.
Non c’è lo stentoreo distacco del cinegiornale Luce (http://www.youtube.com/watch?v=tZxc27u9Fg0) che sottolinea con enfasi come la folla immensa (chi disse mezzo milione, chi un milione) abbia lasciato soli la legittima moglie e il legittimo figlio del segretario del Pci. Non c’è il senso di sacro (da madonna laica) che avvolge Nilde Jotti nel celebre quadro di Renato Guttuso, del 1972. Non c’è la retorica del mito che invece pervade il celebre documentario girato da Citto Maselli quel 25 agosto del 1964. Quella fotografata da Mario Carnicelli con la sua Hasselblad è tutt’un’altra storia.
Una storia normale, più ancora di quel “paese normale” inseguito (a parole) decenni dopo dai post-comunisti nati nel seno di questo mondo ritratto da Mario Carnicelli, che però poi hanno voluto disconoscere. O abbandonare. O tradire, a seconda dei casi. Perché le foto esposte al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma vanno viste in quest’ottica documentaria: i comunisti non mangiavano i bambini, benché da una ventina d’anni a questa parte sia stabilito che così sia stato, anche in Italia. E, invece, guardate questi visi attoniti, queste passioni educatamente represse: non sembra di vedere un grido, né di riconoscere odio di classe (e c’era ragione di provarne anche allora!). Né sembra di cogliere quel vezzo della diversità che poi – da Berlinguer in avanti – è stato il tratto distintivo, quasi la medaglietta esposta sul bavero dai comunisti per bene.
Le foto di Mario Carnicelli sono un magnifico documento antropologico dell’identità comunista: e in quanto tali hanno tutto il diritto di essere esposte nel cuore pulsante di un museo che proprio all’antropologia è dedicato (a proposito, una visita alla mostra fotografica può essere l’occasione per scoprire alcuni dei veri e propri tesori conservati al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari). Non a caso, il fotografo, che poi abbandonò il mestiere di fotoreporter, recuperandolo sono di recente, fissò quelle immagini nell’ambito di un progetto allora intitolato: «Psicologia della folla, il comizio».
Ed è una curiosa coincidenza che proprio nel segno dell’iconografia del “comizio” si sia combattuta una delle battaglie culturali più accese all’interno del Pci di Togliatti. Giulio Turcato, messo sotto accusa dalla chiesa comunista per la sua adesione all’astrattismo in pittura, rispose con un famoso dipinto (nel 1949) intitolato Comizio (a sinistra) che gli valse la scomunica definitiva.
Ma se lo confrontate al quadro di Guttuso sui Funerali di Togliatti (a destra) del 1972 si percepisce come il pittore siciliano, comunista realista ortodosso!, avesse ben compreso e rielaborato la lezione dell’osteggiato Turcato. Sì, anche l’eco di questi conflitti d’arte, che ci fanno tornare alla mente un epoca in cui la politica s’occupava (anche troppo) di cultura, è un regalo della mostra di Mario Carnicelli.