Laura Novelli
Parla di direttore Gian Maria Cervo

Il blockbuster sacro

La rassegna teatrale Quartieri dell'Arte, a Viterbo e dintorni, punta sulla riscoperta di Pietro Aretino. Anche con il recupero di una sacra rappresentazione del Cinquecento con Giancarlo Giannini

Forte legame con il territorio e la sua cultura, valorizzazione dello spazio urbano e dei monumenti di pregio, marcata declinazione internazionale, gusto raffinato per la contaminazione tra linguaggi diversi e accurata attenzione per il contemporaneo: sono questi gli ingredienti che da diciotto anni costituiscono l’ossatura di Quartieri dell’Arte, festival di teatro, performance e arti visive ideato da Gian Maria Cervo nel 1997 e diretto dallo stesso Cervo in sinergia con Alberto Bassetti. Luogo d’elezione della rassegna, quell’area del Viterbese così ricca di storia e di siti di interesse artistico-architettonico che, durante le giornate della vetrina (eventi in scaletta fino al 30 ottobre), mettono a nudo aspetti della loro vita passata ritrovando, al contempo, un’identità nuova, moderna, perfettamente in linea con i canoni estetici odierni. Tanto più che, nei suoi due decenni di attività, questo prezioso contenitore di progetti e allestimenti scenici ha saputo sdoganare e far conoscere autori e artisti ancora sconosciuti in Italia, sollecitando il pubblico a coraggiosi confronti con personalità spesso complesse (io stessa ricordo i primissimi allestimenti di Jan Fosse programmati nelle scuderie di Palazzo Farnese a Caprarola e coronati da simpatiche cene in presenza del drammaturgo norvegese).

Angelo Di Genio AretinoL’edizione 2014 dei Quartieri dell’Arte (www.quartieridellarte.it) passa tutta sotto il segno della lingua teatrale e avvicina l’oggi al Rinascimento seguendo il filo di spettacoli «con cui – racconta Cervo – inauguriamo un nuovo ciclo che accomuna l’invenzione linguistica rinascimentale all’invenzione linguistica contemporanea. Ci interessa, cioè, indagare il rapporto tra personaggi e lingua e proporre opere nelle quali cade la visione consueta del testo come trama a vantaggio di costruzioni linguistiche che sono l’opera stessa: la lingua accende e porta il personaggio da un’altra parte. Ovviamente in un cartellone pensato in quest’ottica non potrebbe mancare Shakespeare (di cui, come sappiamo, quest’anno ricorrono i 450 anni dalla nascita e nel 2016 i 400 dalla morte, ndr) ma lo inseriamo in un quadro molto ampio e attento al repertorio cinquecentesco italiano». L’autore simbolo di questa perizia formale è quel Pietro Aretino così tanto trascurato dalle nostre scene che qui presta il titolo all’intera manifestazione, Ci sarò non ci essendo come ci sarò essendoci, e assurge, giustamente, a grande classico da riscoprire. «L’omaggio che facciamo ad Aretino – spiega ancora Cervo – rappresenta proprio il nesso tra la letteratura rinascimentale italiana e quella elisabettiana. È uno sperimentatore rivoluzionario che ci ha lasciato testi dove abbondano le ripetizioni, le digressioni, e dove la lingua più codificata si apre a continui stock di libertà. Purtroppo è stato vittima di un rogo morale che ne ha condannato l’intera produzione (basti citare i Ragionamenti, qui riproposti in versione post-moderna da Marco Belocchi nel lavoro Il ca’ il po’ il cu’ con Angelo Di Genio, nella foto sopra) ma in realtà Aretino sa essere anche un grande classico e le sue opere religiose lo attestano in modo esemplare».

Vita di Maria Vergine si intitola, ad esempio, un’importante sacra rappresentazione di Aretino che, allestita a Viterbo nel 1582 con 150 tra personaggi e comparse, figura nel cartellone del festival in una riscrittura moderna realizzata proprio da Gian Maria Cervo per Giancarlo Giannini (27 e 28 settembre al Palazzo dei Papi della città laziale). Viene naturale chiedersi come sia stato affrontato il lavoro di adattamento dell’opera. «La sacra rappresentazione originale ha subìto, ovviamente, una rielaborazione radicale: da 200 pagine si è ridotta a 15 e, insieme con Adriano De Santis (regista dello spettacolo, ndr), sto cercando di ridurla ulteriormente. Giancarlo Giannini sarà in scena ma probabilmente non da solo: ci saranno delle sorprese che non voglio svelare. Il taglio della narrazione è assolutamente moderno, ne abbiamo fatto una sorta di Blockbuster hollywoodiano capace di sfidare lo spettatore su quelle cose che egli stesso non sa: molti episodi della vita della Madonna sono descritti con fatti poco conosciuti e rispetto a questo materiale abbiamo avuto un atteggiamento di doverosa osservanza». Fino ad un certo punto però. «Diciamo che ho tenuto soprattutto fede ad una narrazione per flash che procede sulla base del principio di causa-effetto e al gusto per il descrittivismo pittorico. Si tratta, in fondo, di un grande affresco in parole, una specie di summa dello spettacolo sacro rinascimentale».

Dunque l’antico nel contemporaneo ma anche il contemporaneo nell’antico: uno dei lavori più in linea con il filo rosso del festival è Tom alla fattoria di Michel Marc Bouchard nella messinscena diretta da Monica Nappo Kelly (12 e 13 settembre, palazzo dei Priori di Viterbo). Si tratta di un testo concepito come un «crash di prospettive diverse che porta in scena il pensiero stesso dei personaggi grazie a straordinarie accensioni linguistiche». Discorso simile merita anche La gemella H di Giovanni Falco, pièce andata in scena a metà agosto come anticipazione della vetrina (ma la vedremo al teatro India di Roma a fine gennaio) e sorretta «da una scrittura che per certi versi paragonerei a quella della Jelinek, un incrocio di prospettive parlanti che, rielaborate dallo stesso Falco a partire dal suo romanzo omonimo, sposano perfettamente il concetto di invenzione linguistica che ci interessa veicolare».

E parlando di invenzione linguistica è impossibile non chiamare in causa, come già accennato sopra, il genio di Shakespeare. A Quartieri dell’Arte non si vedranno però allestimenti classici o didascalici del repertorio del Bardo bensì due spettacoli coraggiosamente innovativi che a quel repertorio guardano come vettore di energia. Mi riferisco a Sea Change – Caliban Remix di Godfrey Hamilton (14 settembre a Caprarola) e La prova con l’algebra. Hamnet lo spirito del padre di Claudio Collovà e Ferdinando Vaselli (il 23 ottobre a Lubriano). «Il primo – conclude Cervo – è un sequel de La Tempesta: Caliban è stato lasciato solo e ragiona sulla sua solitudine; in scena troviamo ancora il bravissimo Angelo Di Genio nei panni di un personaggio che l’autore immagina come una sorta di mago elisabettiano, un emarginato pop, misterioso e intriso di esoterismo. Nel secondo lavoro c’è invece un chiaro riferimento all’Ulisse di Joyce e si parla soprattutto del rapporto tra padre e figlio, passando ovviamente per l’Amleto ma anche per il poderoso saggio Shakespeare. L’invenzione dell’umano di Harold Bloom».

E se questi titoli rappresentano già un bouquet di eventi interessanti, non da meno sembrano le altre proposte in cartellone e le due iniziative spettacolari avviate in questi primi giorni di settembre: la ricca mostra Vittorio Storaro. Writing with Light dedicata al celebre maestro della fotografia e la performance La Fontana di Kate Pendry pensata come lavoro site-specific per la Rocca  Albornoz di Viterbo. Un luogo cioè ricco di storia che diventa teatro dell’oggi per riannodare il dialogo con il suo passato e per dimostrare quanta assonanza ci sia tra la creatività artistica contemporanea e la sfavillante epoca di quel Rinascimento inquieto di cui tutti noi, nolenti o volenti, siamo figli.

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