Teatro e danza per rinascere
L’Aquila immaginaria
La rassegna “Cantieri dell'immaginario” è un'occasione per tornare nel cuore della città ferita. Dove la guerra per la ricostruzione negata continua. Anche a colpi di inchieste
Gli aquilani si sono accalcati, la sera dell’8 agosto, nei cortili dei palazzi Cappa Camponeschi, di palazzo Paone. Non tutti sono riusciti a entrare per assistere alle rappresentazioni. Quelli che non sono arrivati in tempo, hanno aspettato pazientemente. L’obiettivo era solo secondariamente assistere agli spettacoli, motivo di molto maggiore interesse era entrare nei cortili dei palazzi restaurati.
Da lontano il paesaggio de L’Aquila, dentro le mura della città vecchia, è caratterizzato da gru alte e forti, gigantesche. Sono i cantieri aperti sotto la responsabilità del ministero dei Beni Culturali, edifici e chiese vincolati e tutelati dallo Stato. In questi scenari, fra rovi malcresciuti infra le pietre accatastate, si è svolta la terza edizione di Cantieri dell’immaginario, laboratori teatrali, di musica e danza, spettacoli in fieri, allestiti allo scopo di riportare nel centro storico la popolazione espulsa cinque anni fa dal sisma, a rinnovare il legame con la città, e la volontà di farla risorgere nonostante tutte le difficoltà, mescolando nella parola “cantieri” il reale e l’immaginario.
Non tutti percepiscono l’iniziativa allo stesso modo, la sera del 9, percorrendo la salita che porta alla piazza Angioina, per assistere alla breve performance di danza Là …qui, ideata da Concetta Cucchiarelli, un gruppo considerava: «Queste cose servono a far apparire ciò che non è», intendendo una ricostruzione che non c’è, una vita che non c’è più. E non si può dar torto, in quel percorso, nel buio e nel silenzio rotto solo dalle loro stesse voci e da quei passi, in un contesto di rovine che ricorda le illustrazioni gotico-romantiche, pascoliane, della battaglie di Corradino e di Manfredi. La contentezza per i lavori già finiti o ampiamente avviati si alterna allo sconforto del deserto circostante.
Nella piazza Angioina, sul sagrato della chiesa di San Domenico, le luci di scena sono sistemate sui ponteggi che proteggono la facciata e il rosone, sotto è una pedana interattiva su cui danzano due giovani performer, Chiara Corradi e Francesco Loschiavo, il suono si produce dalla pedana, attivata dalla pressione dei piedi dei danzatori. Lo spettacolo è appena abbozzato, il progetto ha vinto un premio dell’assessorato alla cultura aquilano.
Sono avanti i lavori sotto la direzione generale e le soprintendenze del Mibac, invece per la ricostruzione privata, si dice, «vanno messe a punto le procedure», gli amministratori di condominio sono quelli di sempre ma ora si trovano a gestire lavori per molte decine di milioni, che imporrebbero ben altro spessore e competenza, poche imprese hanno preso troppi incarichi, molti più di quelli che sono in grado di portare a compimento. Le procedure degli appalti pubblici sono, forse, un po’ mitizzate. Se i cantieri edili e di restauro sono partiti, si deve a una febbrile applicazione delle regole e delle leggi ordinarie. Alla fine del 2012 una delibera Cipe, propiziata dal ministro Fabrizio Barca, ha finanziato molte opere e, nell’anno trascorso, entrando nei locali della sede provvisoria dei Beni Culturali, si vedevano, a tutte le ore, gruppi al lavoro. Per questa ragione, ora, preoccupa l’allontanamento da L’Aquila di Fabrizio Magani, direttore generale del Mibac in Abruzzo. Funzionario di poche parole e molto ritroso alle polemiche, è stato percepito da tutti come motore propulsore dell’avanzamento lavori e come garbato ma fermo difensore delle prerogative dello Stato rispetto alle pretese della Chiesa, che è il «primo immobiliarista a L’Aquila», secondo il sindaco Massimo Cialente. Era già successo, nel 2013 (Carlo Trigilia il ministro per la ricostruzione …..), un tentativo non riuscito di amoveatur, mandandolo a Pompei. Successivamente una inchiesta della magistratura ha ristretto ai domiciliari il predecessore, commissario per la Protezione civile, Luciano Marchetti, insieme a due funzionari suoi collaboratori. Un’altra inchiesta, che dà l’impressione del colpo al cerchio dopo quello alla botte, ha fatto finire Magani nel registro degli indagati e, questa volta, il trasferimento, a Roma, è riuscito. Di qui la considerazione amara degli aquilani: «Una volta che era arrivato uno bravo, ce l’ hanno tolto».
Tornando all’Immaginario, nella notte di San Lorenzo, ai Gesuiti, è andato in scena uno spettacolo molto coinvolgente, costruito sulle lettere dal carcere di Antonio Grmasci. Antonio detto Nino, di Francesco Niccolini e Fabrizio Saccomanno (consulenza storica di Maria Luisa Righi), con Fabrizio Saccomanno da solo in scena. La produzione, presentata da L’UOVO onlus, il teatro stabile dell’innovazione aquilano, accende l’attenzione sull’aspetto privato e esistenziale di Gramsci, senza scansare i nodi problematici del ruolo svolto dai suoi compagni e dalla moglie russa nell’isolamento morale e politico che Gramsci chiamò il suo “secondo carcere”. Bravissimo Saccomanno e molto efficace drammaturgicamente il puzzle della ricostruzione attraverso le lettere, struggenti le parole e le favole scritte per Delio e il piccolissimo Giuliano.