Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

Cinema & cronaca

Convince il film sulla 'ndrangheta di Francesco Munzi. Qualche dubbio sull'Indonesia di Joshua Oppenheimer. Grande festa, infine, per Peter Bogdanovich,

Spostando l’ambientazione del romanzo omonimo di Gioacchino Criaco dagli anni Settanta ai giorni nostri, Francesco Munzi realizza uno dei film più interessanti visti finora al Lido. Anime nere, presentato oggi in concorso, parte da Amsterdam per poi snodarsi da Milano fino in Aspromonte raccontandoci la storia di una famiglia legata alla ‘ndrangheta. Che però non è la solita famiglia arretrata e dedita solo alla violenza e alla barbarie.

faccia buonaVoto: sorprendente!

I personaggi del film sono infatti emancipati, almeno una parte di loro. Hanno frequentato l’università, e risultano, come lo stesso Munzi dichiara, molto “camaleontici”. Con un cast composto da attori professionisti e no felicemente assortiti, il film del regista italiano ha il merito di costruire una tensione che risulta efficace anche nei momenti più prevedibili suggeriti dalla sterminata produzione sull’argomento. Un punto di vista differente, che pure nella consapevolezza di dover aderire a canoni ineludibili riesce a sorprendere.

Altro film in concorso The look of silence di Joshua Oppenheimer. Dopo il successo di The act of killing Oppenheimer racconta la repressione avvenuta nel 1965 in Indonesia contro chiunque fosse in odore di comunismo. Protagonista il fratello minore di una delle vittime, nato dopo i giorni dei terribili massacri. Sono molte le cose notevoli di questo lavoro, che però mostra anche alcune lacune, indirizzando lo spettatore verso un atteggiamento manicheo che appare peraltro del tutto comprensibile. La cosa che più stupisce è proprio la banalità dell’orrore, raccontato dai protagonisti, carnefici consapevoli e orgogliosi. Al punto che uno di loro scrive e disegna un libro di propria mano affinché la sua opera, che egli considera gloriosa, non venga perduta e anzi tramandata ai posteri.

faccia perplessaVoto: senza storia.

Il punto è che, come ognuno di questi boia improvvisati, è realmente convinto di essere un eroe. È forse in questi snodi che il film è più debole, perché non racconta le ragioni di questa “missione” omicida; non racconta lo sradicamento della religione subito dai civili, che paradossalmente furono frenati proprio dall’esercito golpista in questo massacro. La sensazione è che, incentrando la storia sulla vicenda personale del protagonista, si sia costruita una parabola umana che trascura alcuni aspetti fondanti delle vicende storiche. E questo ci dà una dimensione parziale delle atrocità descritte e raccontate. Va anche detto che gli autori di quei massacri vivono tuttora tranquillamente rimanendo stabilmente al potere.

Salutiamo poi il ritorno di Peter Bogdanovich. She’s funny that way (fuori concorso) è una commedia che se non fosse stata realizzata da Bogdanovich definiremmo alleniana. Scritta in maniera brillante e ben recitata ha il suo punto di forza nella casualità che lega tutti i protagonisti, legati in qualche maniera l’uno all’altro.

faccia molto buonaVoto: alleniano!

In altre situazioni sarebbe stato in realtà un punto debole, in quanto la casualità è un espediente troppo comodo, ma in questo caso il gioco è talmente scoperto che parteciparvi diventa per lo spettatore una delizia, fino ai titoli di coda e all’apparizione di Quentin Tarantino, uno dei più appassionati e onnivori cinefili che Hollywood ricordi.

 

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