Consigli per gli acquisti
Astuzie alla Simenon
Non basta l'atmosfera a rendere un poliziesco simile a quelli del commissario Maigret... Tuttavia, in questa seconda puntata dedicata ai gialli dell'estate si raccomandano una raccolta di racconti, Camilleri e Carofiglio e il ben congeniato romanzo di Nicola Manzò
Terra maligna – L’editore Sellerio da qualche anno lancia in libreria, a ferragosto e a Natale, racconti gialli scegliendo tra i suoi autori più venduti. L’operazione va benissimo, alla faccia di chi afferma che pubblicare racconti è da suicidi. C’è da dire che gli scrittori di queste raccolte sono molto noti. La prova del fuoco sarebbe quella di lanciare autori meno noti o esordienti, messi accanto a un solo narratore di forte richiamo.
Sono sei i racconti di Vacanze in giallo: Giménez-Bartlett, Malvaldi, Manzini, Recami, Robecchi e Savatteri. Soffermiamoci su quest’ultimo che con Il lato fragile racconta del giornalista Saverio Lamanna, appena licenziato dall’ufficio stampa del Viminale. Vuole andare nella casa di campagna di Màkari, attorno a Trapani. Gli va incontro un vecchio amico, il prete Franco, che sta organizzando a Palermo un convegno: «Ci saranno gli stati generali della legalità e del diritto. Viene pure il ministro, sai?». Saverio approfitta del passaggio in auto. Al volante c’è il giovane Kevin, il tuttofare del sacerdote così indaffarato. Dopo una parentesi amorosa il giornalista risale sull’auto riservatagli dal prete. Convegno noioso, dove c’è il chiacchieratissimo Simone Triassi, immischiato in gruppi di potere, correnti, parentele. L’indomani mattina Triassi viene trovato accoltellato e con le mutande abbassate. Un modo per allontanare ipotesi politiche. Spesso, in Sicilia, l’eros è pretesto per coprire affari sporchi (Sciascia insegna). Lamanna intuisce ciò che veramente è successo, dopo la scomparsa dell’autista e punta il dito contro il prete, in privato. In questa isola così bella che sa essere anche “maligna”, i fatti hanno sempre contorni poco netti.
Il milanese – Arriva Alfredo Renzi. È il neo commissario che da Milano è stato trasferito a Napoli, stazione di Polizia del quartiere San Lorenzo. Hanno ucciso due amanti, il caso è suo. Una vicenda che si presenta ancora più difficile perché Renzi non si sa muovere bene, anzi per niente, in una città contraddittoria, dalle mille voci e dalle risorse nascoste o bizzarre. Dal disagio nasce l’intricata e ben scritta trama di Gli amanti di vico San Severino (i delitti del barbiere), Tea editore. Cammina in San Gregorio Armeno, dove c’è di tutto. Note a tutto il mondo certe bottegucce che espongono i presepi con statuine di eccellente artigianato. La via è stretta, si procede come in processione e per non essere risucchiati si deve avere bene in mente il luogo dove andare. Renzi trova un barbiere, alla fine. Ignaro o meno di una tradizione locale, scopre immediatamente che lì si parla, si fanno conoscenze, si afferrano brandelli di notizie, anche quelle utili a un’inchiesta della polizia. L’atmosfera è magistralmente delineata da Nicola Manzò, nato a “Stella”, uno dei quartieri più popolari della città. L’autore, che è noto nell’ambiente teatrale, porta per mano il compassato commissario venuto dal Nord e gli fa incontrare, dal barbiere Ettore, personaggi che solo a guardarli paiono appena comparsi sul palcoscenico: il gobbo Tatillo detto Gùgol, che conosce a menadito la rete dei vicoli napoletani, il settantenne Pierino, “ragazzo” di bottega, Enza la ribelle, che poi è il trans Vincenzo dal cuore tenero, e zia Mariuccia, l’indovina che con le sue carte sa vedere “tutte ‘e ccose”. Nel romanzo di Manzò ci sono diversi rimandi storici, dall’antica storia di Roma alla ribellione napoletana del ’43. Un andirivieni ben congeniato.
L’astuzia del male – Un romanzo breve (120 pagine) e scattante. Ambientato nella Bari un po’ indolente. Un’inchiesta che si dipana negli anni Ottanta, quindi priva di stampelle come i telefoni cellulari, computer aggressivi e l’inchiodante precisione del Dna. Così Gianrico Carofiglio affida, in Una mutevole verità (Einaudi stile libero) al maresciallo del Carabinieri Pietro Fenoglio il compito di porre sotto il cono di luce le responsabilità di un ragazzo che ha ucciso un anziano. Irrompe immediatamente sulla scena il dubbio. Contro ogni evidenza. L’azione violenta non parte dal sottosuolo dostoevskiano, ma da una costellazioni di banalità. Roba, quindi, per “un bravo sbirro”. Dinanzi alla famosa definizione di Hannah Arendt, «la banalità del male», Carofiglio ne preferisce un’altra: «Se hai trovato la radice del male vuol dire che sei diventato pazzo». Qualche critico ha notato nel romanzo un’aria alla Simenon. Prendiamole con le pinze affermazioni del genere. Ormai è di moda dire che qualche vicenda, per come viene scritta, è simenoniana: pare un marchio di garanzia, poi ti accorgi di una sola cosa, ossia che la scrittura è lineare, allusiva, ingenuamente astuta. Tutto qui.
Pioggia sporca – Come sempre accade le inchieste del commissario Salvo Montalbano cominciano la mattina presto, quando riceve una telefonata. O è l’appuntato Catarella che inciampa sui nomi di persone, o di località dove è avvenuta un’“ammazzatina”, oppure è il sobrio Fazio, l’ispettore la cui meticolosità biografica su vittime, carnefici e testimoni dà sui nervi al suo superiore. Da tempo a questa parte, a causa dell’età che avanza (“vecchiaglie”), Montalbano entra nella doccia con il ricordo vivido del sogno appena fatto. A volte profetico. Nella zona di Vigata e Montelusa ci sono stati giorni di enorme pioggia. Vien voglia di rimanere a casa. Eppure Montalbano, «arrisbigliato scantatizzo di colpo» per un tuono, accorre in un cantiere dove c’è fango dappertutto. Ma oltre il fango c’è un “catafero” (sparato alla schiena) dentro un tubo. E una bicicletta. A Montalbano quel paesaggio così cupo fa ricordare dei versi di Eliot: «La terra desolata… qui, dove i morti perdono le ossa». La vittima è «un beddro picciotto trentino» (il che significa, nel gergo di Andrea Camilleri, un trentenne, coi capelli «nivuri»). Ma come ha fatto a pedalare con un proiettile in mezzo alle scapole? Poco distante dal cantiere c’è una casetta. Era lì che abitava il poveretto. Una venditrice abusiva precisa con rabbia che era sposato con una «buttanazza». Ipotesi: il rapimento della donna e il marito che fila via con la bici. In questo romanzo, La piramide di fango (Sellerio), compaiono nomi di personaggi tratti dalla più recente cronaca: un giornalista corretto che si chiama Gambardella (ricordate il film La grande bellezza?), la società “Albachiara” (ricordate il partito politico greco?). Obiettivamente sembrano nomi appiccicati coi ritagli del giornale di ieri o dell’altro ieri. Un po’ fastidioso per chi ama Camilleri, capace di intrecci corna-mafia-corruzione. Ancora una volta spunta, sfacciatamente, la triade inventata da Leonardo Sciascia.