All'Est Film Festival di Montefiascone
Vecchi comunisti
Un piccola rassegna di cinema nel viterbese mette uno accanto all'altro due documentari dedicati a Berlinguer e Luigi Petroselli: due miti dimenticati della buona politica
Due comunisti d’antan. Occasione di un singolare confronto, due docufilm proiettati sul palco dell’Est Film Festival di Montefiascone. Prima quello Andrea Rusich Il Sindaco Petroselli. Poi quello di Walter Veltroni Quando c’era Berlinguer. Forte era la sintonia tra i due, sindaco di Roma uno, segretario del Pci l’altro, ma insieme due figure molto diverse. Come diverso è il regista del secondo film, Walter Veltroni, che non ha mai nascosto la passione per il cinema nata sui banchi del CineTv e accantonata da giovanissimo per l’altra, la politica.
Stessa epoca, su Berlinguer non mancano testimonianze filmate, tg, tribune politiche o citazione in film dell’epoca, Berlinguer ti voglio bene tra tutti. Più magra la dotazione di testimonianze visive per Petroselli, fatto non dovuto solo alla penuria di talk show dell’epoca, ma anche al personaggio. Schivo, poco fotogenico, disattento al modo di vestire e di presentarsi, austero da sempre, il sindaco più amato è stato fotografato e assai poco filmato, tanto da persuadere il regista Rusich a integrare la documentazione con una messe forte di testimonianze.
Due comunisti. Forte l’impronta cattolica in Luigi Petroselli – figlio di un tipografo socialista e antifascista da sempre, tanto da essere tra i fermati per precauzione in occasioni di particolari eventi di partito a Viterbo – che da adolescente pensò di avere la vocazione. E che ancora in seminario scoperse i classici del marxismo, il riscatto degli ultimi, la bellezza di un lavoro politico che poi cominciò nella sezione del Pci. Non senza titubanze: nel ’56, per i fatti di Ungheria – era già funzionario del Pci. Pensò di dimettersi, lasciò scadere la tessera. Poi la riprese, ma la crisi gli costò due anni di purgatorio, da passare nella Cna.
Un lottatore, da subito. Organizzò l’occupazione delle terre nel viterbese – era l’epoca delle lotte contadine guidate da Di Vittorio – che scontò con 40 giorni di carcere e una condanna a 10 mesi con la condizionale, un’esagerazione. In consiglio comunale si batté contro la speculazione edilizia e i proprietari fondiari, così come Aldo Natoli aveva fatto in Campidoglio negli anni ’50 con la memorabile battaglia su “il sacco di Roma”. Poi fu chiamato a Roma da Berlinguer.
Enrico Berlinguer era stato appena eletto segretario del partito, e la federazione romana era squassata dalla scissione del Manifesto. L’espulsione di Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Lucio Magri, si era riverberata a cascata nelle federazioni e nelle sezioni: l’accusa di frazionismo per chi rivendicava una discontinuità con la politica filosovietica allontanò molti militanti e molti quadri, a Roma in modo forte. Per evitare forse ulteriori contraccolpi Belinguer scelse un uomo di cui si fidava. L’etrusco, lo chiamavano a Roma, ed era il soprannome più benevolo. Il pugile, un altro, o addirittura Joe Banana. Duro, rigido, intelligente, Petroselli guidò la Federazione in modo equanime. Anche grazie a lui il centrosinistra conquistò il Campidoglio. Nel frattempo Berlinguer portò il Pci a una rapida ascesa elettorale, fino a superare il 30%.
Sbagliarono a volte, certo. E chi non sbaglia mai? Ma non fu un errore lo schierarsi di Berlinguer con gli operai della Fiat, la sua presenza ai cancelli appena prima della marcia dei 40.000 colletti bianchi. Lì morì la Fiat, oggi non ne resta che il cadavere. Come era avvenuto durante l’occupazione tedesca, anche qui gli operai difendevano le fabbriche, e non è vero che le battaglie che non si possono vincere non vadano combattute, come avvenne per il referendum sulla scala mobile.
Le vittorie elettorali non furono l’unico punto di contatto tra i due. È stato Berlinguer ad affrontare i sovietici, a lanciare l’eurocomunismo, a segnare punti di distacco dall’Urss. È stato Petroselli a dare diritto di cittadinanza a tutti i romani, unificando il centro, ricco di storia e bellezza, con le periferie desolate di baracche e abusivismo. Qui acqua, luce e servizi e case popolari, lì il Progetto Fori e l’Estate romana, così da consentire al popolo delle periferie di impadronirsi del cuore della città, di farne spazio di vita e di cultura per tutti. È stato Berlinguer a lanciare l’austerità, a fare una battaglia contro la corruzione montante, e cominciava l’era di Craxi. È stato Petroselli a forzare i concessionari del cantiere della Metro perché finalmente aprisse la linea A e finisse il dissanguamento dei rialzi in corso d’opera che rendono gli appalti inutili e conveniente prolungare i cantieri all’inverosimile.
Singolare anche la loro morte, ambedue “sul lavoro”. Luigi dopo essere intervenuto in una riunione del Comitato centrale dove per la prima volta espresse il suo dissenso fu in dissenso con Berlinguer sul compromesso storico e sui rapporti con i socialisti. Enrico al culmine di una campagna elettorale cruciale, struggenti le immagini del malore e la testarda pervicacia nel finire il suo discorso: bisogna persuadere tutti, andate nelle case, nelle fabbriche, discutete…
Ambedue caduti «con le scarpe ai piedi», ebbe a dire un avversario di sempre, Almirante. Ambedue salutati da una folla di popolo impensabile: non erano tutti comunisti quelli che invasero il Campidoglio per salutare il sindaco, tra loro persino il sindaco conservatore di Parigi, Chirac. Non erano tutti comunisti quelli che si riversarono nelle strade per accompagnare piangendo il segretario del Pci, un uomo rigoroso, che per molti rappresentava il sogno del riscatto. Onesti e integerrimi e non basta: erano riformatori, innovatori, amministravano Roma e il partito ma pensavano a un futuro che travalicasse il loro periodo di governo, vedevano lungo.
E non è questo il comunismo, in fondo? Il sogno del riscatto, dignità, lavoro, possibilità di sollevare lo sguardo dal quotidiano e guardare al futuro. Questo, non la caricatura che ne hanno fatto i berlusconiani e i loro complici, confondendo artatamente i comunisti con gli stalinisti, gettando la parola comunista nella damnatio memoriae. E invece le sezioni del Pci sono state spesso scuole serali, si imparava lì a capire il mondo e persino l’arte e la cultura. Si imparava lì la solidarietà e a lottare per i propri diritti, quelli basilari come la casa il lavoro l’uguaglianza, e poi quelli nuovi, il divorzio la sanità l’istruzione, i diritti delle donne. Quelle folle che seguivano il feretro di questi due uomini piangevano lo stesso sogno. E ancora non sapevano quando fragile fosse il futuro che ci aspettava, e quando amaro.