Erminia Pellecchia
A novembre al Madre

Napoli secondo Amelio

Si prepara un grande omaggio a Lucio Amelio, gallerista, mecenate e intellettuale che contribuì - attraverso l'arte - alla rinascita di Napoli negli anni Ottanta

«Elegante, alto snello, gran naso che gli dava il profilo da nobiluomo spagnolo, soprattutto un seduttore dalla capacità affabulatrice rara. Parlava tedesco, francese, inglese, la padronanza delle lingue gli dava sicurezza nel rapporto non mediato con i galleristi e gli artisti europei e americani». Così Mario Franco, regista e storico del cinema, ricorda Lucio Amelio, «vocazione gallerista», l’artefice, tra fine anni Sessanta e inizio Novanta, della rivoluzione culturale che fece di Napoli, la sua città, uno dei principali crocevia dello scenario artistico contemporaneo internazionale. «Il sindaco di Napoli», come lo aveva battezzato lo scrittore americano Alan Jones, ci ha lasciato il 2 luglio di venti anni fa, orfani, troppo presto, del suo progetto, atipico e alternativo, che aveva al centro il valore etico dell’arte. Perseguito con tenacia e fantasia, con inquieta modernità. Un lavoro duro, continuo, senza mediazioni. Di rottura e costruzione. «Ha disseminato – sottolinea Franco – una serie di bombe ad orologeria per scatenare la creatività che è presente in ogni uomo. È stato uno strumento prorompente per riappropriarci del nostro futuro».

Warhol  Beuys AmelioGià. Senza l’eredità morale e intellettuale di Amelio, forse non ci sarebbero stati Madre, né Pan, né le superbe installazioni di piazza del Plebiscito. Ed è proprio dal museo Madre che parte la lodevole iniziativa di ricordare il “mecenate e impresario dell’arte”, con la mostra Dalla Modern Art Agency alla genesi di Terrae Motus (1965-1982). Documenti, opere, una storia…, in programma il 22 novembre. Anteprima, la serata per Amelio, appena svoltasi, in cui sono state tracciate le linee guide dell’esposizione che, spiega il direttore del Madre Andrea Viliani, «vuole essere, visto che oggi c’è anche la distanza critica necessaria, un momento di confronto e riflessione per parlare di una storia che da Lucio arriva fino a noi». La serata è stata anche l’occasione per presentare il comitato scientifico. Oltre a Viliani, ci saranno le sorelle di Amelio, Anna e Giuliana; i nipoti Paola ed Eduardo Santamaria (figli di Anna), Nino Longobardi, protagonista della pittura italiana dell’ultimo trentennio, grazie anche al «Lucio talent scout delle Due Sicilie»; Giuseppe Morra, gallerista amico e rivale; Angela Tecce del Polo museale della città di Napoli e il critico d’arte Michele Bonuomo, entrambi formatisi alla scuola ameliana. A tessere le fila, Achille Bonito Oliva, testimone e protagonista di quei tempi, narciso, teatrale e cannibale dal multiforme ingegno alla pari di Amelio, col quale, a volte, si è anche scontrato. Lucio, infatti, considerava i critici “inquinatori”. «Non esistono i sacerdoti dell’arte – ha stigmatizzato in una intervista rilasciata a Riccardo Notte –. I sacerdoti sono gli artisti. Esistono Beuys, Paladino, personaggi con la bacchetta magica. Esistono coloro che fanno scattare il tutto ed esistono personaggi che si chiamano galleristi e che captano queste onde magnetiche, le riorganizzano e le fanno conoscere a un pubblico vasto, sia pure d’élite».

Lui che ha inventato la moderna figura del gallerista produttore di opere come farebbe un museo, scherzava su questo mestiere cui era approdato “per incidente”, nel senso letterale della parola, giacché la caduta in una buca, nel ’63, accenderà la scintilla che già covava. Prima, da «svogliato studente di architettura», aveva girato il mondo, si era guardato intorno, aveva annusato e assorbito l’aria di cambiamento in atto nella scena internazionale. Globe trotter stanziale, tra un aereo e il richiamo della sua città amata e odiata, aveva fatto di tutto e di più, dal traduttore al direttore di una società chimica. «L’arte è un’avventura – scherzerà – in cui un avventuriero con un certo talento può diventare manager».

Il talento è quella innata antenna che cattura le energie che gravitavano nel mondo artistico anni Sessanta, dalle disorientate onde di autori partenopei, bravi ma senza sponda, ai fermenti innovativi di Germania, Inghilterra, Francia, Stati Uniti. Amelio è un catalizzatore, crea un ponte tra Napoli e il resto del mondo. È il 1965, fonda al Parco Margherita la Modern Art Agency, socio Pasquale Trisorio. Poi, nel 1969, nasce, nello storico palazzo Partanna, a piazza dei Martiri, la galleria che avrebbe portato il suo nome, luogo di espressività per artisti del calibro di Rauschenberg, Warhol, Beuys, Merz, Kounellis, Haring, Twombly, Baselitz, Tatafiore, Paladino. Tra estetica e mondanità, l’«Aquila vesuviana» attrae un nucleo di collezionisti e mecenati da Renato Esposito a Peppino Di Bernardo e avvia una stretta collaborazione col Mattino di Roberto Ciuni e critici esordienti come Michele Buonomo, Francesco Durante ed Eduardo Cicelyn, quest’ultimo sicuramente il suo erede spirituale. Si accende la curiosità di intellettuali come Filiberto Menna, arriva il riconoscimento della cultura ufficiale: il soprintendente Raffaello Causa gli apre le porte di Villa Pignatelli con le mostre di Merz, Paolini, Calzolari, Pistoletto, Kounellis e Beuys, e quelle di Capodimonte con Burri; sulla sua scia Nicola Spinosa ospita nella reggia i Vesuvius di Warhol. Il terremoto del 1980: l’arte deve rispondere all’evento catastrofico. Bisogna ricominciare a vivere. «C’è tanta energia nell’arte – avverte Amelio – da potersi contrapporre a quella scatenata dalla terra». Alla tragedia che ha sconvolto Campania e Irpinia, segue la straordinaria intuizione di «Terrae Motus», l’inedita cordata di solidarietà che coinvolge oltre cinquanta artisti, ognuno con una sua opera volta a scuotere le coscienze, icona il «Fate presto» di Warhol mutuato dal titolo-urlo del Mattino. La collezione ora è alla Reggia di Caserta, non godibile nella sua interezza, una ferita aperta che va assolutamente sanata.

terrae motus«Terrae Motus» è il testamento di Amelio, il manifesto che Napoli non è solo camorra, monnezza, strade e palazzi killer che si sbriciolano, mietendo vittime. Una malattia senza speranza mina Lucio nel corpo, non certo nella mente. C’è un’ultima grande mostra-monumento, quella sulla commedia dell’arte e su Pulcinella, metafora della Napoli caverna di ombre e luci. Pulcinella, per Amelio, è la fame continua di una città perennemente inappagata. «Pulcinella è ogni artista – confessa a Notte – che nel disagio trova terreno fertile per la creatività; come un vampiro succhia il sangue della società avariata per ristabilire equilibri, imponendo la sua regola personale».

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