I racconti del peccato/4
La carrozzina
E lui pensa, è solo un sogno, non può essere che un sogno, ma che strano un momento fa eri sveglio…
Nel dormiveglia c’era l’acido nell’esofago e uno straziato impasto di sogno e ricordo. Suo padre che lo accompagna a scuola il giorno della maturità. Non parlano. Lui rimugina sul fatto che non sa nulla, che non ha neppure comprato i libri di testo, che di sicuro farà scena muta, ma naturalmente non si sogna di confessarlo al suo vecchio che procede al suo fianco lungo un marciapiede infocato dal sole. Poi quel marciapiede diventa un corso d’acqua fra i palazzi e loro nuotano. Poi l’aula anch’essa piena di sole accecante, le sagome imprecise degli altri alunni che aspettano, lui, zuppo da strizzare, che chiede il libro di testo di fisica a un compagno, e quello gli fa: “Ma come, non ci hai manco il libro?”, “No, l’ho perso in acqua”… Allora tutti gli altri ragazzi presenti scoppiano in risate di scherno che cominciano piano e in breve diventano sfacciate, tumultuose. Alla fine si ritrova fra le mani quel testo e si mette a studiare pateticamente le prime pagine, ma le formule e i teoremi si accavallano. Ed eccolo davanti alla commissione che balbetta: “Ho lavorato sugli appunti….”. I professori allineati dietro alla fila di banchi con facce di parenti e amici lo scrutano severamente. Dopodiché improvvisamente si trova in mezzo a una scintillante scalinata barocca e una carrozzella rovina giù per gli scalini come nella famosa sequenza del film di Ejzenštejn.
Solo che nel film la carrozzina era quella d’un neonato mentre ora c’è dentro un uomo che urla e si sbraccia e la gente sulla scalinata si scansa senza muovere un dito e anche lui si scansa cercando di riconoscere quel volto urlante e disperato che chiede aiuto mentre gli sfila davanti… e improvvisamente, quando gli pare di aver capito chi sia quell’uomo, la carrozzina si ribalta e una voce soprannaturale sibilante scandisce CALABANO, CALABANO, SA, SA, SA, CALABANO… E lui pensa, è solo un sogno, non può essere che un sogno, ma che strano un momento fa eri sveglio… E poi sua madre che si perde la merda in ospedale cercando di raggiungere il bagno e lui che si schifa a raccoglierla e scappa urlando non posso, perdio, non posso e sua figlia che lo scruta severamente dentro una sorta di bolla di vetro e anche lei urla ma le parole non si sentono, si vede solo la sua faccia che cerca di comunicare, la bocca che si apre e si chiude come quella di un pesce… Eppoi una bara senza croce sopra su una barca funebre e lui è fra suo padre e sua madre che nuotano affannosamente dietro alla barca e a un tratto sua madre gli tocca il braccio e gli dice: “Siamo morti, Davide, e tu hai perso il lavoro… Come fai, come farà tua figlia? Riuscirai almeno a pagarci la bara e il funerale sull’acqua?”… Si alza di pessimo umore con la testa ancora turbinante, è una giornata grigia, gli giungono alle orecchie stridori del traffico e ha la bocca amara e impastata per l’alcol che ormai consuma regolarmente tutte le sere… Ha un paio di appuntamenti stamani, ma sa già che non porteranno a nulla. Beve tutto il caffè contenuto nella moka da tre e si fa la doccia calda sperando di cancellare insieme allo sporco tutta la morchia che si sente nell’anima. Comincia a farsi la barba ma non completa la rasatura per evitare di continuare a guardare la sua faccia gonfia e scontenta e gialla sullo specchio. Si veste senza particolare fantasia, indossando lo stesso abito beige misto lana che porta da mesi…. E finalmente scende in strada. Passa davanti al giornalaio, ma non compra il quotidiano per risparmiare, raggiunge il capolinea degli autobus e monta sul 60 Express che lo porterà in circa 50 minuti in centro. Trova posto presso le portiere centrali. Durante il tragitto legge un giallo banale e inutile dove si uccide senza un vero motivo e ogni tanto getta un’occhiata alla gente pressata nella piattaforma e, fuori del finestrino, il traffico denso che stagna su tutta la città. Giunge a mezzogiorno all’ultima fermata di via Nazionale e percorre a piedi la strada fino a via della Mercede. Incontra un piccolo editore e poi un vecchio amico che ha appena aperto una società finanziaria, ma come prevedeva nulla di fatto, solo promesse, generici impegni, sono dieci anni che si sente ripetere le stesse cose e intanto lui continua a vivere coi pochi soldi delle lezioni private e con lo stipendio smilzo della moglie. È stanco, maledettamente stanco di tutto. Raggiunge Piazza di Spagna e sale stancamente le scale sotto il sole cocente passando attraverso vari gruppi di giovani sciatti e sudati seduti sui gradini. Vuole raggiungere il Pincio e sdraiarsi sull’erba in qualche punto isolato e piangere se gli riesce. Giunto in cima si siede sul muretto a riprendere fiato, si accende una sigaretta e dopo un paio di boccate, si accorge di quella carrozzina sistemata al lato della scalinata in un fazzoletto d’ombra, orientata perpendicolarmente alle scale. Il disabile che vi è seduto sta leggendo. L’hanno lasciato solo, pensa, che strano. Si tratta di un uomo, anzi di un vecchio piuttosto robusto che ha qualcosa di familiare. Scende dal muretto, si avvicina di qualche passo e improvvisamente riconosce quell’uomo, ma sì, accidenti, è proprio lui, molto più vecchio e malandato, ma è lui… “Ti hanno lasciato solo!”, gli fa quando gli è a tiro di voce, spostandolo un altro po’ in modo da nasconderlo completamente dietro una rientranza della balaustra. Quello si volta, sul volto grasso vibra l’ombra discontinua di un tiglio.
“Sì… Lei chi è? Stia fermo, che fa, perché mi sposta?”
“Come, non mi riconosci?”
“No, veramente…”
“Guardami bene… N’è passato del tempo, eh… Pure con te non è stato clemente, il tempo…”
“No, non so chi sia… Ah, aspetta, forse…”
“Ecco, bravo, vedo che qualcosa ricordi…”
“Lavoravi alla ***… Giannini, Giannetti… Davide Giannetti?…”
“Ma bravo!…. Bravissimo!”
“Hai perso i capelli… E la barba allora era scura…”
“Già… I capelli li ho persi tutti dopo il licenziamento nel giro di una settimana…”
“Fosti licenziato?… Non posso ricordare tutto…”
“E allora ti rinfresco la memoria… Sei stato proprio tu a mandarmi la lettera di licenziamento… C’era la tua bella firma arrotondata e tremolante…”
“Beh, ero il capo del personale, tutto passava dalla mia firma…”
“Mmmmhhh, no, allora non ricordi bene… Fosti proprio tu a vergarla, fu la prima cosa che dicesti quando mi convocasti a colloquio… Usando quel verbo, vergare, da rottinculo quale sei… E sorridevi mentre lo dicevi… ”
“Oddio, no, non ricordo i particolari… E’ passato tanto tempo…”
“Già, è passato molto tempo… – risponde Davide e intanto ruota la carrozzina verso l’asse della scala. – Ma come mai sei solo?”
“C’è Dragomira, una ragazza romena che mi accompagna… Che fai, perché mi giri… Fermo, riportami dove stavo… Guarda che adesso torna… Che fai, qui è pericoloso!”
“E dov’è andata Dragomira?”
“A fare un bisogno urgente… Adesso torna, che cosa fai, che vuoi fare, girami per favore… Ehi, mi senti?”
“Allora, proprio non riesci a ricordare… Dai, fai uno sforzo… Altrimenti…”
“Altrimenti?”
Davide dà uno strattone alla carrozzella e il vecchio sussulta sbavandosi sul risvolto della giacchetta.
“Che cazzo fai, sei matto?”
“Allora… Mi accusaste di qualcosa, ricordi?…”
“Sì, sì, ricordo, ma stai fermi perdio!… Giusta causa… Vedevi filmini porno durante l’orario di lavoro….”
“Ah, ma che bravo, vedi che ricordi… Questo è quello che scrivesti nella lettera e che tagliò la testa al toro… Ma tu senz’altro ricordi anche qualcos’altro che in quella lettera non era scritto….”
“Che cosa dovrei ricordare?”
Davide, da dietro, i pugni aggrappati al manico, dà un altro robusto strattone alla carrozzella facendola sobbalzare sui primi scalini della scalinata. L’uomo inutilmente cerca di azionare la leva del freno, che è stata disattivata da Davide.
“Aiuto, aiuto…” – fa il vecchio con voce strozzata.
“Non ti conviene urlare… ”
“Aiuto, aiuto, aiut…”
Davide gli infila in bocca il suo fazzoletto sporco di muco e di sudore e proprio in quel momento ha un flash dell’immagine onirica, quella scalinata scintillante, quella carrozzella che precipita e si cappotta, quella voce demoniaca… E un brivido gli frusta la schiena fino all’occipite, come se avesse appena tirato una spessa striscia di coca.
“Allora, ti rinfresco io ancora una volta la memoria annebbiata… Avevo scoperto qualcosina, ricordi, che riguardava il tuo ufficio guarda un po’… Quei tuoi magheggi con la Banca d’Italia per far fuori Presciutti, il vicedirettore generale… ”
Il vecchio è tutto rosso per lo sforzo inutile di gridare e si muove frenetico col busto cercando di far muovere le ruote, ma le gambe restano immobili come fossero di marmo.
“Dai non mi dire che non ricordi niente… Ah, già, non puoi più parlare… Beh, muovi il braccio per rispondere… Alza la mano se vuoi dire si…”
Di nuovo un paio di strattoni. Passa un gruppo di suore filippine e lui si mette di fianco per nascondere alla loro vista il vecchio disabile.
“Mi dispiace per te, sono passate… Mi dispiace davvero, oggi è il tuo giorno sfortunato… E adesso, abbi pazienza, debbo proprio salutarti, ti auguro una buona discesa, ah, ah…”
Così dicendo spinge la carrozzella che rotola lungo la scala per un bel po’ eppoi si ribalta rovinando nella rampa successiva e sbalzando il vecchio handicappato fino a farlo sbattere violentemente sul marmo del gradone. Davide resta per un po’ nascosto dietro la balaustra a godersi gli strilli della folla e il trambusto attorno alla carrozzina un paio di rampe più in basso. Poi si sposta e osserva da un altro punto riparato l’arrivo della giovane rumena che si guarda inutilmente in giro non trovando il padrone e solo dopo un minuto si affaccia dalla balaustra e si accorge del trambusto e allora scende allarmata la prima rampa tenendosi le mani nei capelli e urlando parole che non si comprendono… Davide ogni tanto trattiene le risa convulse che gli premono in gola e nella testa sente ancora quella voce dell’oltretomba che dice quelle strane parole: CALABANO CALABANO, SA, SA, CALABANO…. Si accende una sigaretta e comincia a passeggiare come se nulla fosse, ogni tanto buttando giù uno sguardo per vedere come procede la faccenda. La gente gli passa davanti e si affaccia incuriosita, una signora con un bambino e un boxer al guinzaglio gli chiede delucidazioni. “Non so bene, non ho visto, un incidente mi pare di aver capito, credo la carrozzina di un disabile che è caduta giù…”, “Oh, mio Dio! Poveretto…”, “Eh sì, poveretto, mi sa che ha sbattuto la testa…”.
L’ambulanza arriva dieci minuti dopo, Davide, sempre trattenendo a stento le risa che a tratti erompono in singulti strozzati, osserva i barellieri con la barella e gli strumenti di primo soccorso che si precipitano per le scale facendosi largo fra la folla… Scende anche lui, restando tuttavia a distanza di sicurezza e assiste agli inutili tentativi di rianimazione del vecchio che viene portato via. La folla vociante attorno gli impedisce di vedere bene. Qualche giapponese scatta delle foto al di sopra delle teste assiepate con l’I-Phone. Quando finalmente la folla si dirada, Davide può vedere la pozza di sangue accanto al muretto balaustrato che sgocciola lungo i gradoni in un paio di rivoli come il delta di un minuscolo fiume.
* * *
Narratore di normali orrori quotidiani, Andrea Carraro è romano e alle contraddizioni della sua città ha dedicato molti dei suoi romanzi. Fin dall’esordio con Branco, 1994, storia di uno stupro di gruppo che divenne un film diretto da Marco Risi. Poi sono venuti: L’erba cattiva, 1996, con Giunti, La ragione del più forte, 1999, Feltrinelli, i racconti de La lucertola, 2000, Rizzoli, il romanzo Non c’è più tempo, 2002, sempre Rizzoli e ancora Il sorcio, 2007, Gaffi, i racconti de Il gioco della verità (2009), Hacca, e la raccolta di reportage Da Roma a Roma (Ediesse, 2010), poi Come fratelli, Barbera, 2013 e la raccolta di poesie Questioni private, Marco Saya 2013. Autore di racconti e reportage, è stato direttore editoriale di Gaffi e per Succedeoggi, oltre a questa, ha curato questa rassegna di racconti Testo a fronte.