Le terne dei riconoscimenti napoletani
Contro i premi teatrali
Le Maschere celebrano De Fusco, i Premi Ubu i nipoti di Franco Quadri: possibile che il nostro teatro sia così provinciale e autoreferenziale? Forse bisognerebbe guardare quel che succede altrove...
Per capire quanto il teatro sia negletto nel nostro Paese è sufficiente riflettere sui premi che nel suo nome vengono assegnati. La questione riguarda tutti gli ambiti dell’arte e della cultura, è vero, ma qui non si può allargare troppo il discorso. Limitiamoci al teatro, prendendo spunto dalle cosiddette “terne” delle «Maschere del teatro italiano», riconoscimenti inventati anni fa da Maurizio Giammusso con il contributo dell’Eti (quando ancora c’era) e dell’allora Stabile Veneto, al tempo diretto da Luca De Fusco, e allora chiamati Olimpici perché venivano assegnati tradizionalmente in settembre nella meravigliosa cornice del Teatro Olimpico di Vicenza. Ora De Fusco è a Napoli, l’Eti non c’è più, il patron politico dell’epoca, Gianni Letta, vive un gaio tramonto e pure i premi non se la passano bene. Ma la loro cattiva salute non è un segno isolato, come si vedrà.
Ebbene, nei giorni scorsi è stata stabilita, appunto, la lunga lista degli aspiranti al premio, nel corso di una seduta pubblica (circostanza unica e inedita, se ne conviene). A dare le linee, esperti veri o presunti: dal suddetto Gianni Letta a tale Luigi Grispello, presidente della Fondazione Campania dei Festival, da Caterina Miraglia del Cda della medesima Fondazione Campania dei Festival al direttore di Raiuno Giancarlo Leone (chiamato in causa per garantire la differita tv della cerimonia di assegnazione che si svolgerà a Napoli il prossimo 5 settembre), dai critici Giulio Baffi, Enrico Groppali e il nostro Andrea Porcheddu al regista Marco Bernardi, direttore Teatro Stabile di Bolzano, alla scrittrice Maricla Boggio alla giornalisa Emilia Costantini fino a Massimo Monaci, direttore del Teatro Eliseo di Roma che ha ospitato la kermesse introduttiva di lunedì scorso. Insomma, di tutto un po’, ma non senza squarci di intrinseca autorevolezza.
Le terne sono un lungo elenco, è vero, ma è necessario riportarle per interno. Eccole. Costumi: Zaira De Vincentiis (per Antonio e Cleopatra), Maurizio Millenotti (per Circo Equestre Sgueglia, nella foto accanto al titolo), Andrea Viotti (per Pilastri della società, nella foto qui accanto). Scenografia: Maurizio Balò (per Antonio e Cleopatra), Sergio Tramonti (per Circo Equestre Sgueglia), Francesco Ghisu (per Medea). Musiche: Simone Cristicchi (per Magazzino 18), Ran Bagno (per Antonio e Cleopatra), Musica da ripostiglio (per Servo per due). Autore di novità italiana: Paolo Sorrentino (per Hanno tutti ragione), Francesco Giuffrè (per La lista di Schindler), Gianni Clementi (per Lo sfascio/Colpo gobbo). Attore/attrice emergente: Silvia Siravo (per Tacchi misti), Lino Musella (per La società), Daniele Russo (per Arancia meccanica). Monologo: Simone Cristicchi (per Magazzino 18), Claudio Di Palma (per L’armonia perduta/Letteratura e salti mortali), Alessandro Preziosi (per Cyrano sulla luna). Regìa: Luca De Fusco (per Antonio e Cleopatra), Maurizio Scaparro (Viviani Varietà), Giancarlo Sepe (per Amletò). Attrice non protagonista: Ariella Reggio (per Boeing Boeing), Patrizia Milani (per La brocca rotta), Anita Bartolucci (per Ti ho sposato per allegria). Attore non protagonista: Tonino Taiuti (per Circo Equestre Sgueglia), Giacinto Palmarini (per Antonio e Cleopatra), Leandro Amato (per Molto rumore per nulla). Attrice protagonista: Gaia Aprea (per Antonio e Cleopatra), Elisabetta Pozzi (per Agamennone/Molto rumore per nulla), Margherita Di Rauso (per Week end). Attore protagonista: Pierfrancesco Favino (per Servo per due), Luca Lazzareschi (per Antonio e Cleopatra), Massimiliano Gallo (per Circo Equestre Sgueglia). Spettacolo: Le sorelle Macaluso regia Emma Dante, Frost/Nixonregia Bruni/De Capitani, Circo Equestre Sgueglia di Alfredo Arias.
Ciascuno di voi – ammesso che abbia seguito con costanza la stagione teatrale scorso – avrà la sua idea a proposito delle scelte compiute. Che sono quanto meno bizzarre. Certo parziali. Perché quel che colpisce è altro dalla labilità delle opinioni estetiche personali (oltre a tutto bisogna aver studiato ed esercitato la critica e la storiografia teatrale a lungo per avere opinioni estetiche, cosa che non tutti i presunti giurati possono vantare): il fatto è che la metà delle categorie vedono nelle terne finali nomi che afferiscono in qualche modo alle attività produttive del Festival napoletano e del Teatro stabile locale che lo progetta e realizza. Ossia al genio poliedrico di Luca De Fusco, lo stesso che paga il premio suddetto. Può darsi che De Fusco (nella foto) sia uno degli artisti più illuminati dell’universo e delle galassie tutte: è solo a questa condizione che si può convenire che abbia direttamente o indirettamente firmato la metà del meglio del teatro italiano. Ma, dopo tutto, che lasci un po’ di creatività al resto del mondo!
La verità è che i premi che la nostra asfittica società teatrale si destina sono drammaticamente autoreferenziali. Così sono i premi napoletani, come i loro concorrenti milanesi chiamati Ubu: lo stesso sguardo misero, lo stesso gusto provinciale di premiarsi in casa. Io dò un premio a te e tu ne dài uno a me, così annunciamo in pubblico che siamo i migliori: in differita tv o dalle prestigiose pagine della Repubblica, organo ufficiale delle persone intelligenti. Ecco la povertà culturale che fa delle Maschere come degli Ubu (analogamente afferenti lobby potenti e chiuse in sé a riccio) una recita della vanità nuda e cruda. Mentre un premio, per essere tale, dovrebbe essere trasversale alle poetiche, alle scuole di pensiero, ai potentati, alle lobby. Se io dò un premio a mia zia, a mia figlia, alla mia mascherina, al mio tirapiedi, al mio maestro d’asilo non sono molto credibile. Semmai, sono solo un povero provincialotto che tenta di assegnarsi delle medaglie di cartone che scoloriscono al sole.
Possibile che il nostro teatro, dopo cinquant’anni, sia ancora fermo alla diatriba noiosa tra i seguaci del povero Franco Quadri (nella foto, che inventò la propria festa di compleanno degli Ubu) e tutti gli altri (gli attuali finanziatori delle Maschere)? Possibile che non ci si renda conto che altrove, ossia nel mondo, il teatro ha seguito altre strade e ha raggiunto altre isole, bruciando le velleità novecentesche degli italici guerreggiatori. Ecco quel che ci manca: uno sguardo sul mondo che solo, ho visto riverberare nella scorsa stagione in piccoli spettacoli di piccoli gruppi di giovani. Ma non voglio fare nomi (ignorati dalle Maschere e, temo, in procinto di essere ignorati dagli Ubu) perché non voglio cadere nel tranello del gioco della torre: voglio solo dire che il nostro teatro ha perso contatto con il mondo. Possibile, mi chiedo, che l’unico luogo che ospita teatro internazionale tradizionale sia il festival di Spoleto e che gli unici contenitori di teatro internazionale contemporaneo siano la Biennale Teatro a Venezia e Le vie dei Festival a Roma? Ecco, vorrei lanciare un’idea: una volta disoccupato (prima o poi, con o senza i comunardi attuali, succederà) l’ex Valle Occupato dovrebbe essere destinato a una sana, esclusiva programmazione internazionale. Non occasionale, non legata a ricchi mediatori (i titolari di import-export teatrale in Italia sono sempre gli stessi da mezzo secolo in qua!), ma quella vera che riempie le sale parigine o tedesche o balcaniche (e anche italiane, quando riesce ad arrivarci). E che non vince mai le Maschere né gli Ubu.