I racconti del peccato/1
Carletto e Lu Rid
«Io sono diverso. Io sono Dj App. Non sono Carletto. Io ascolto Kurt Cobain, Iggy Pop, Bowie, Eminem e all'epoca era appena morto il mio unico mito, Lou Reed»
Io odio Lucio Battisti. Per Carletto invece era il più grande cantautore di tutti i tempi. Io sentivo Acqua azuuraaa acqua chiaraaa e Mare nero mare nero neroneronerò solo se le canticchiava la parrucchiera quando mi faceva lo shampoo, per lui erano capolavori. Del resto Carletto pensava pure che Mogol fosse un grandissimo poeta. Lo esclamava nel microfono ogni volta che sentiva Ancora tu ma non dovevamo vederci più? oppure Come può uno scoglio arginare il mare e io pensavo ma che cazzo gliene frega a uno scoglio di arginare il mare? Fiori rosa fiori di pesco stasera esco, appunto stasera esco davvero io per sempre, pensavo e invece restavo lì al mio posto di fronte all’altro microfono perché ero un professionista e poi chi me li avrebbe dati tutti i soldi che prendevo per fare Dj App insieme a Carletto? Gli ascoltatori lo adoravano e lo chiamavano come un amico scemo, Carletto, senza cognome, Carletto, anche se aveva quasi sessant’anni, Carletto, un amico scemo e simpatico. Simpatico e simpaticamente stronzo. Come quando a microfoni spenti diceva che Bocelli non ci vedeva e per questo cantava come un usignolo accecato, poi quando s’accendeva il rosso alla fine di Con te partirò ripeteva Che usignolo, Che usignolo, così chi era stronzo quanto lui capiva cosa volesse dire davvero. E com’è delizioso andar sulla carrozzella, canticchiava ogni volta che passavamo una canzone di Bertoli, però questo non aveva il coraggio di farlo di fronte al suo pubblico. Eppure avrebbe potuto perché il suo pubblico era suo, la pensava come lui, rideva e applaudiva quando rideva lui.
Io sono diverso. Io sono Dj App. Non sono Carletto. Io ascolto Kurt Cobain, Iggy Pop, Bowie, Eminem e all’epoca era appena morto il mio unico mito, Lou Reed. Adesso avrà smesso de rid, lu rid, ma che cavolo c’aveva da rid non si sa, era stato il commento di Carletto dopo Walk on the wild side, quella bellissima che fa Du dudu dudu dudududdu. Io avevo appena creato il clima del lutto di quando muore un grande artista e Carletto aveva detto quelle stronzate in onda. Risate finte. Applausi registrati e the sciò mast go home. Quella notte non ho dormito. Pensavo che era l’ultima volta che facevo coppia con Carletto, e affanculo il mutuo da pagare per la villa del Circeo. Anche se la mattina dopo Giggi tenendomi la mano mi aveva fatto ragionare. Senza nemmeno aprire gli occhi con la testa sul cuscino foderato di raso, aveva detto che se il destino voleva che guadagnassi a trent’anni trecento euro al giorno per dire cavolate alla radio, voleva pure che sopportassi di fare un duo con un vecchio stronzo. Mi piace Giggi perché ha studiato filosofia e fa il trimestrale alle Poste, unisce cultura e senso pratico, tanto per dire quando si stanca butta via le lettere inutili e il giro gli diventa più veloce così quelle importanti le consegna prima.
Ma poi quando arrivo alla radio vedo che nella playlist la canzone numero cinque è Perfect day.
Adoravo Perfect day. Era una canzone lenta e dolce, sussurrata da un disperato che passa il suo tempo al parco bevendo sangria invece di suicidarsi. Non avrei sopportato che Carletto dicesse qualche cattiveria su Perfect day il giorno dopo la morte di Lou Reed. Sono andato dal regista e gli ho chiesto di toglierla. Metti un’altra cosa, questa mi prende male. Sei troppo sensibile, ha risposto lui, la dobbiamo mettere per forza, c’è l’accordo con il direttore che voi non le cambiate, le canzoni della playlist. Ma per una volta sola, una sola! Vediamo che ne pensa Carlo, ha risposto lui. Carletto ci ha ragionato su. La sua faccia col tempo era diventata quasi gialla e i capelli che portava lunghi sulle spalle erano stopposi. Pensavo allo stomaco di quelle deficienti che facevano a gara per fargli le pompe. Non possiamo cambiare le canzoni che poi ci vado di mezzo io, ha risposto, se vuoi sali al secondo piano e glielo dici tu, fa un po’ il frocio col culo tuo per una volta. Elegante, ho pensato. Se vado dal direttore nemmeno mi riceve, mi sopporta solo perché faccio coppia con Carletto. Poi il regista ha dato i trenta secondi e ci siamo seduti nello studio. Fianco a fianco come al solito. Che poi a te, ha detto Carletto prima di cominciare, ti piace pure questa roba triste.
Non è triste, è bella, stavo per dire ma si è accesa la luce rossa ed è cominciato il programma. Due minuti e cinquanta secondi poi la prima canzone: Happy di Pharrell Williams. Carletto sulle prime note si è tolto la cuffia. Questa sì che è allegra. Non è mica lu rid lu trist, ha detto. Ti prego, era per evitare un commento come questo che volevo togliere Perfect day. Carletto ha riso e si è rimesso la cuffia. Attenzione, siete On air. Insieme andavamo come una spada, Carletto e Dj App. Quattro minuti su Balotelli e Ilaria D’Amico pescati in un privé. Nascerà una zebra, ha detto Carletto e io ho riso come faccio sempre. Risate finte. Applausi registrati. Canzone. Don’t get me wrong di Noemi. Via le cuffie. Certo che ne mandiamo di merda, come dice Giggi. Gigi D’Alessio? No, il mio Giggi. Giggi è tuo quando te lo compri e poi magari voi che vi sentite lu rid pensate pure di essere fichi, il più grande cantautore di tutti i tempi è solo Lucio Battisti. Annuii. Sai perché lu rid si drogava? Scossi la testa. Per sopportare la tristezza delle canzoni che scriveva. Feci una risata finta per farlo smettere. On air. Trenta secondi di parole per mandare un jingle e poi Biagio Antonacci. A Giggi gli piace Antonacci? A Giggi gli fa schifo. E lo sai perché? Ti prego, lo interruppi, non lo dire. Lo sai? Dai, ti prego, non dirlo. A Giggi non gli piace Antonacci perché a Biagio Antonacci gli piace la fica. On air. Carletto era in grande forma, su Facebook e su Twitter ci riempivano di complimenti ma io pensavo che tra poco sarebbe arrivata Perfect day. Solo un’altra hit, Magic dei Coldplay che Dio li perdoni, e poi Lou Reed. Al pensiero sentivo come quando hai fame e se mangi stai solo più male. Per favore, dissi mentre andava Magic, per favore, lascia stare Lou Reed. Carletto si tolse le cuffie. Dobbiamo parlare, aveva lo sguardo scuro, gli occhi infossati, tu guadagni troppo. Troppo? Sì, tu sei solo una tristezza qui dentro e non è giusto che siamo pagati uguali. Stai scherzando, Carletto? No, e chiamami Carlo, solo gli ascoltatori possono chiamarmi Carletto.
On air. Dopo Magic Carlo parlò di Lou Reed, disse le cazzate conformiste che dicono tutti, parlò dell’ambiguità, degli abissi della droga e poi del sesso sporco. Quale sesso sporco?, gli ho chiesto io. Il sesso sporco che sporca l’amore. Ma che ne sai tu dell’amore, gridai nel microfono, che ne sai tu? Che ne sai, stronzo? Puttaniere di merda! Il regista staccò i microfoni e mandò la canzone: Just a perfect day, drink sangria in the park. And then later when it gets dark, we go home. Adesso facciamo i conti, disse Carletto togliendosi la cuffia. Io ribollivo. Sì, facciamo i conti. Just a perfect day, feed animals in the zoo. Then later a movie, too, and then home. I conti sono che quando torniamo on air mi chiedi scusa, ragazzino. Oh, it’s such a perfect day, I’m glad I spend it with you. Oh, such a perfect day. Poi basta con questa tristezza da froci. You just keep me hanging on. E da domani mezza paga. You just keep me hanging on. Carletto si rimise la cuffia. Io non lasciai che la canzone terminasse e feci la mia uscita dallo studio mentre Lou Reed cantava le ultime parole.
Adesso per campare faccio il single raffinato nelle pubblicità rivolte ai gay. Per colpa di Lou Reed. Ma non è colpa sua se sono solo. Giggi ha cercato di convincermi a chiedere scusa a Carletto. Quello stronzo mi mette in ginocchio sui ceci, dicevo io. E tu in ginocchio sui ceci ti devi mettere, ne va del nostro futuro. Il nostro futuro? Diceva che era un peccato d’orgoglio il mio. Giggi ha cercato di convincermi per due giorni. Il terzo giorno è andato via. E se ogni tanto adesso vado al parco non mi porto la sangria perché la vita è sempre diversa da come te la canti.
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Paolo Restuccia è uno dei responsabili della Scuola Omero. Ha pubblicato il manuale di scrittura creativa La palestra dello scrittore – le parole e la forma. Ha curato, con Enrico Valenzi, Fantareale. Nuova antologia del racconto fantastico. Ha tradotto Story, di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore, a cura di Barnaby Conrad e Monte Schulz. In radio è conduttore (3131, Permesso di soggiorno, Dentro la sera) e regista (A che punto è la notte, Buono Domenico, Il ruggito del coniglio). È in uscita il suo romanzo La strategia del tango.