All'Istituto Nazionale per la Grafica
Sculture su carta
Omaggio a Pasquale Santoro, l'incisore del colore e delle passioni che ha portato la sperimentazione di Montparnasse a Roma. Con il "beneplacito" di Ungaretti
«…cocciuto e illuminato, stravagante e osservante stretto della regola… Santoro è un artista». Così dice di lui, nel 1968, Giuseppe Ungaretti. Pasquale Ninì Santoro: Racconto. L’interesse di questa mostra deriva da una serie di ragioni: perché ricompone per la prima volta nell’unità di una esposizione la produzione grafica in cui sono confluiti lungo gli anni – dal 1957 al 2014 – i pensieri dell’autore e le sue immagini tradotte in segni e colore. E perché è una mostra organizzata dall’Istituto Nazionale per la Grafica, nella sua sede di Palazzo Poli, al 54 della via omonima a Roma, nell’istituzione dove Santoro nel 1976 fu chiamato da Carlo Bertelli a collaborare.
È nelle tre sale del piano nobile del Palazzo che fino al 13 luglio si raccontano, in periodi cronologicamente definiti e con una ricostruzione meticolosa, i “complessi tematici”, mai ripetitivi, applicati al suo linguaggio nell’ambito dell’incisione; sono raccolte 50 stampe accanto alle quali talvolta sulle pareti troviamo accostate le matrici originali, donate per l’occasione alla Calcografia Nazionale.
Pasquale Santoro, artista lucano nato nel 1933a Ferrandina, è uno sperimentatore instancabile, a partire dai suoi esordi. Si forma a Parigi nell’Atelier 17, a Montparnasse, nel “laboratorio” voluto e animato da Stanley William Hayter. È il 1958, qui si rinnovano concetto e metodi; il fare incisione è azione composita e ogni passaggio evolve con procedimenti innovativi; si pensi al ricorso di pennarelli acidoresistenti. Non può dirsi tradizionale neppure il colore; Santoro approfondisce lo studio dei colori, che costituiscono un campionario di cromatismi audaci e che applica d’ora in poi su lastre che perdono il significato di “mezzo” o tramite su cui opera con una libertà che chi pratica l’incisione in genere difficilmente potrebbe riconoscere quale prerogativa di questa disciplina. Parigi per il giovane Santoro è l’occasione per respirare un’aria internazionale e raccogliere un bagaglio di conoscenze e esperienze a livello artistico e personale che negli anni non dimenticherà.
Tornato a Roma fonderà il Gruppo Uno con Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Uncini, dalla cui linea però si dissocerà pochi anni dopo. Comincia per lui il tempo dei riconoscimenti, la partecipazione alle Biennali di Venezia, le mostre in Italia e all’estero. Esponente dell’astrattismo, sappiamo come davvero impieghi nella grafica l’acquatinta e l’acquaforte su rame e su zinco, spesso combinate insieme; ma è altrettanto vero quanto non ami le “codificazioni pompose dell’arte moderna” e neppure l’idea della serialità implicita in questo tipo di produzione, perché è al solo risultato che conferma di voler puntare.
Nel processo creativo prosegue decisa e instancabile la sua sperimentazione artistica; la rintracciamo nelle opere in cui impiega profilati industriali associati a matrice di legno, come Sacre, del 1967, su cui imprime con il bulino quei segni che una stampa a rilievo si preoccuperà poi di valorizzare.
Negli anni Settanta, in occasione della collaborazione in seno alla Calcografia, ne scopre i tesori: qui si conservano le lastre originali realizzate da Giovan Battista Piranesi; ed è al grande incisore che Santoro rivolge uno sguardo divertito. Nasce il progetto Cieli del Piranesi, 1976 – 1978, acqueforti a colori su rame; anche questi lavori fanno parte della mostra. Sappiamo che in questa occasione l’artista ha operato sulle matrici originali una vera sottrazione degli elementi architettonici della città rappresentata, ha mascherato i segni che descrivono le costruzioni e recuperato solo quello che Piranesi aveva concepito con la sua fantasia: il cielo, le nuvole rigonfie. Mancava il colore: e Santoro lo aggiunge. È il colore dei cieli di Roma al tramonto, tenue e trasparente, leggero come potrebbe essere quello di un acquarello, ma in verità è inchiostro, semplice inchiostro di stampa; ancora una volta a ribadire come per l’artista quello che conta è solo il modo di lavorare senza alcun riguardo a procedure tecniche predefinite.
La letteratura e la musica guidano negli anni la sua ispirazione; alla fine degli anni Settanta un ciclo cospicuo di opere è dedicato a Thomas S. Eliot, Little gidding da Four Quartets: gli Uomini vuoti e altri titoli. E poi Cajkovskij e Vivaldi. Imponente è il ciclo imperniato sulla prospettiva, indagata nel famosissimo quadro di Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, di cui è in mostra Dentro la battaglia, del 1984.
Nelle opere che celebrano il suo percorso artistico si può notare che per Pasquale Santoro l’accettazione dei limiti della carta è un dato puramente tecnico; già nella lastra preparatoria si imprimono più livelli di profondità, per conquistare una resa finale in cui si colgono distanze e spessori. L’artista non si preclude ipotesi di ampliamento della visione: accosta i fogli e non disdegna il grande formato. Ma la ricerca si “espande” ancora, non solo verso l’esterno, bensì verso la rappresentazione spaziale: esplora la scultura, che i curatori mostrano in tre esemplari. L’invenzione formale si affida ai profilati metallici, lo spazio è incluso nell’assemblaggio e con le saldature sembra trattenere nell’opera la sua idea. Santoro è scultore a tutti gli affetti.
Come si legge nel bel catalogo che esce proprio in concomitanza con la mostra e ne ribadisce il titolo, costante è il suo impegno politico e civile che marca alcune tappe salienti della produzione artistica. Nel 2014 Santoro torna nella Stamperia dell’Istituto; non può resistere ad esprimere sdegno e dolore per il catastrofico evento del terremoto dell’Abruzzo. Le ferite indelebili delle chiese de l’Aquila sono “inchiostro rosso”, totale e esclusivo.