A proposito del concerto dei Rolling Stones
It’s only rock ‘n’ roll
Hanno tenuto alto per due ore e mezzo l'entusiasmo di una platea di 70 mila persone. Ma sono in molti a voler prendere le distanze da un fenomeno che evidentemente non si spiegano. E così, non potendo far di meglio, hanno da ridire sull'età di Sir Mick Jagger e compagni...
Sì, c’ero anch’io al concerto di domenica scorsa dei Rolling Stones al Circo Massimo di Roma, ero lì a spararmi le ultime cartucce di una ormai già trascorsa giovinezza. E non per nostalgia, per insano giovanilismo o per ritrovare sensazioni perdute, ma nell’assoluta certezza che la leggendaria rock band, di cui sono una seguace fin dall’adolescenza, avrebbe elargito ancora insuperabile musica rock. E così è stato, con buona pace dei detrattori. La perduta gioventù, semmai, si constatava dall’obiettiva fatica a sostenere tanto a lungo la posizione eretta, condizione a cui la location obbligava, al contrario degli stadi che consentono una più umana fruizione dell’evento. Eravamo in molti a sostenerci con le mani i lombi, ma scommetto che anche i più giovani che popolavano la platea e i dintorni, e perfino gli imberbi che partecipavano convinti, avrebbero apprezzato di più una diversa scelta da parte di Sir Mick Jagger, che ha posto invece, a quanto si dice, il sito storico come condicio sine qua non per venire a suonare nella capitale. Lo stadio Olimpico, dove si esibirono nel 2007, del resto, ha una pessima acustica, cosa che non sarà sfuggita a Jagger e compagni.
La spianata del Circo con il pubblico in piedi, le mani alzate con gli Smartphone e gli i-Phone pronti allo scatto fotografico, e i lati rialzati con grappoli di persone speranzose di guadagnarsi uno spicchio di visione dall’alto e realmente “dal vivo”, non solo sul maxi schermo, ha aguzzato molti ingegni capaci, bisogna riconoscerlo, di eroici atti di militanza rock. Come quel ragazzo, chissà, forse abituato a pratiche di meditazione trascendentale, che ha guadagnato, già alle 5 del pomeriggio, un parchimetro sul quale si è appollaiato, non scendendosene che a fine concerto. O quella giovane coppia che ho visto rimanere avvinghiata tutte quelle ore a un lampione della luce, uno di quelli di foggia antica, con bordi bombati, avendo capito che appoggiando i piedi su quelle bombature e facendo uno sforzo per restare in equilibrio, avrebbe guadagnato buoni centimetri di visibilità. Gente da tutto il mondo che non ha resistito al richiamo di assistere a un grande concerto rock nella città eterna, di per sé prodiga di emozioni. Una babele di lingue e un signore dal Canada, veterano dei concerti già a giudicare dall’equipaggiamento, per sua stessa ammissione infaticabile testimone, per la 46ma volta, di un concerto degli Stones.
Ma a distanza di due giorni, quando cronache e polemiche si sono smorzate, mentre ancora risuonano le note di ogni pezzo – perché tutti sono stati scelti tra i memorabili e memorabilmente riproposti – e si rimpiange davvero la perfezione di quelle due ore e mezzo di musica dove non c’è stato un solo minuto di caduta, di noia (e anche la cosiddetta “spalla”, John Mayer, è un grande musicista e l’ha dimostrato), nel ripensare a quella vitalità di Mick Jagger, invidiabile da molti punti di vista, non ultima l’agilità delle anche, alla voce pastosa di Keith Richard che intona You got the silver accompagnandosi con la chitarra acustica a sua volta accompagnato da Ron Wood… bene, si capisce che il vero rebus sul quale interrogarsi riguarda “quelli che non c’erano”. Sì, “quelli che non c’erano” intesi alla Jannacci: ossia, non quelli che non c’erano e basta, perché disinteressati o disincentivati dal costo del biglietto (107 euro, con i diritti di prevendita e spedizione), ma quelli che non essendoci stati hanno la pretesa di pontificare, sbeffeggiare, alludere, marcare una superiorità. Probabilmente lo fanno senza cognizione di causa, e ignorano l’aforisma di Wittgenstein che consiglia sì di «non temer mai di dire cose insensate. Ma ascoltale bene, quando le dici». Costoro lasciano tracce sui social network per lo più imbarazzanti, si sentono in dovere di ironizzare sull’età degli Stones, postando pubblicità del Kukident, la celebre pasta per fissare le dentiere, scrivono testualmente «vederli saltellare ancora sul palco come ventenni rocchettari non gli fa onore!», o peggio, condannano il loro “esempio di vita”! Poi c’è anche chi posta foto dei Rolling Stones degli esordi (con Brian Jones), accompagnata dalla frase: «Voglio ricordarmeli così». Come dire: meglio piangerli morti, a una vera rockstar si addice più la tomba che il palco in età avanzata, altrimenti la leggenda non regge.
Capite bene, dunque, una riflessione s’impone. Vien voglia di fare chiarezza. Di affermare che l’età, davvero e per fortuna, riesce talvolta a essere solo una convenzione. Forse che una poesia di Ungaretti ha meno valore perché scritta in vecchiaia? E che dire delle opere dei grandi pittori mossi dall’ispirazione fino agli ultimi istanti di vita? E chi pretende che un artista sia anche un esempio di virtù? Al contrario, è spesso la sofferenza estrema, quella che fa sragionare a far raggiungere le profondità e le vette. Gli esempi non finirebbero mai…
Con tutti gli eccessi evidentemente amministrati con saggezza, a 70 anni suonati i Rolling Stones sono ancora capaci di emanare un’energia che ha tenuto alta la tensione dei 70 mila al Circo Massimo, dirigendo i cori degli Yeah, dei You Can’t Always Get What You Want, degli Uh uh, assicurando divertimento, provocando l’entusiasmo di un’immensa platea. E facendo andar via le persone «fisicamente distrutte ma mentalmente in paradiso». Sarà solo rock ‘n‘ roll… Anzi, It’s Only Rock ‘n‘ Roll (But I like it)!