Philip Roth e la farsa degli addii
Dal primo all’ultimo sandwich
Rischiando il ridicolo, il celebre scrittore non fa che annunciare il suo ritiro da tutto: dalla narrativa, dalle apparizioni pubbliche, persino dai panini... Che sia una messinscena per indurre i parrucconi di Stoccolma a dargli finalmente il Nobel?
Con tutto il rispetto e l’ammirazione che moltissimi di noi nutriamo per lei, accetti mister Philip Roth un consiglio: adesso la deve smettere con la sua ridicola cerimonia degli addii. Stop it, please: il rischio è rotolare nel ridicolo. E proprio lei, ironico come è sempre stato, cadrebbe in un’imbarazzante contraddizione. Come si sa, lo scrittore più famoso d’America, e sempre escluso dalla rosa nei premi Nobel, all’uscita del romanzo Nemesi dichiarò che quello era l’ultima opera. Poco dopo annunciò – avido sempre di pubblico – di dettare la sua immensa autobiografia a tale Blake Bailey. Il vizietto continuò: «Sarà l’ultima». Ovvio: la sua uscita è prevista nel 2022. Ma dettare o scrivere può essere la stessa cosa, quindi non è vero che ha smesso. Poi è stata la volta delle apparizioni pubbliche: si è concesso alle telecamere e ai microfoni della Bbc, dichiarando: «Questa è la mia ultima apparizione televisiva, anzi la mia ultima apparizione su qualsiasi palco, ovunque».
No, mister Roth, non la crediamo quando magnifica l’arte del ritiro, l’inseguimento della solitudine e dell’anonimato in luoghi bucolici o in viaggio per il mondo. A proposito: il suo collega D.J. Salinger si ritirò (nel ’53) e basta, senza reclamare fanfare o happening celebrativi. Diventò misantropo e irreperibile (o quasi) dopo aver scritto un racconto sul Newyorker. Lei, mister Roth, tra un annuncio e l’altro, un po’ si è spiegato, anche se con sfarfallio narcisistico: «Ho avuto fama letteraria, ho avuto fama sessuale, ho anche avuto fama di pazzo. Ho avuto centinaia di lettere, cento a settimana, e alcune di queste lettere con foto di ragazze in bikini. Ho avuto un sacco di possibilità di rovinarmi la vita». Ecco, non se la rovini ulteriormente, la vita, magari rientrando sul palcoscenico tanto per far chiasso o scalpore o strappare titoloni sui giornali: lei sa, noi giornalisti siamo un po’ boccaloni. Rischierebbe di udire fischi e pernacchie. I lettori non sono una massa di idioti. Si stufano facilmente, soprattutto verso chi non è coerente o verso chi fa continuo spettacolo di sé avendo scelto la via del tramonto, due passi in avanti e uno indietro. La fama del “rieccolo” ha un pessimo marchio.
Cerchiamo comunque di formulare ipotesi su questa cronaca annunciata dell’esilio. O prova un gusto masochistico nello smembrare le parti, carnali e intellettuali, di se stesso, forse imitando Pollicino che lasciava le sue tracce con la mollica di pane; o è in preda a un cupio dissolvi rateizzato; oppure è tutta una messinscena, con lo scopo di attirare una volta per tutte i parrucconi di Stoccolma, i quali potrebbero intenerirsi e decidere: ma sì, diamoglielo ‘sto Nobel a quel pover’uomo che è ormai così solo, solissimo. L’ultima sua performance, sotto la patina sottile (ma quanto sottile?) dell’ironia l’abbiamo trovata nel suo ultimo outing su «ora mi ritiro».
Qualche giorno fa a un periodico olandese ha confessato che l’ultimo panino che ha mangiato la settimana prima, un sandwich di tacchino con lattuga e pomodoro, è stato il suo «ultimo sandwich». Aggiungendo, da ammiratore, o emulatore yankee, della Recherche: «Ho mangiato il mio primo panino quando avevo tre o quattro anni. Che è quasi ottant’anni fa. Sono un sacco di panini». Sorry, mister Roth, ma qualcuno potrebbe scattare in piedi, allargare le braccia ed esclamare un sano «chi se ne frega!». Temiamo che la litania del ritiro non finisca. Sta diventando un atto compulsivo. Dirà un giorno che ha fumato la sua ultima sigaretta, il suo ultimo bicchiere di whisky, eccetera. All’inizio ci sarà pubblico curioso, poi si ritroverà a parlare da solo. Lei, mister Roth è un lucido intellettuale e certamente ricorderà quel che scrisse Oscar Wilde: «Conoscere se stessi. Dopodiché diventa impossibile vivere insieme con se stesso».
Una giornalista arguta e di buona memoria ha tirato in ballo l’ex batterista dei Genesis, Phil Collins. Quando uscì un suo disco, che ebbe molto successo, proclamò solennemente il suo addio alla musica. Con questa motivazione: mi voglio dedicare alla famiglia, voglio finalmente accompagnare i miei bambini a scuola. Poco dopo saltò di nuovo sul palco: «Rieccomi, sono tornato, ho cambiato idea». Più spiritoso, e sincero, il famoso giornalista televisivo americano David Letterman. Un addio anche il suo, coronato da baci e abbracci. Ci credettero tutti? Questo non lo sappiamo. Fatto sta che la star televisiva, nel suo presunto ultimo giorno, fece un’aggiunta cautamente correttiva: «Un vero addio? Tra un anno o giù di lì».