Fa male lo sport
Calci allo Stato
La guerriglia e i patteggiamenti sotto agli occhi del capo del governo e del simbolo anti-criminalità. Il calcio va chiuso, almeno per un anno: bisogna esautorare club e Coni e riscrivere le regole. E poi farle rispettare. Anche con le cattive
E alla fine abbiamo visto anche il presidente del Senato Piero Grasso consegnare medaglie e coppa a vincitori e vinti. Viva l’Italia, vergognosamente protagonista in mondovisione per fatti di sangue e di violenza legati al calcio. C’era anche Matteo Renzi in tribuna con famiglia al seguito. Giocava la Viola, la sua squadra. Immagino che in un altro Paese, un Paese normale, e quindi non il nostro, un’alta carica dello Stato come il presidente del Senato e il primo ministro di quello stesso Stato avrebbero rifiutato, il primo, di presenziare alla scena finale, ai festeggiamenti dopo tutto quello che era successo; il secondo, di restarsene allo stadio e guardare con la faccia un po’ stupidotta quello che accadeva sotto la curva Nord dell’Olimpico. Dopo la trattativa con gli ultrà napoletani, dopo i fischi di tutto il pubblico all’inno che quella poveraccia in mezzo al campo si sforzava di cantare. Dopo le bombe carta e i soliti cori sul Vesuvio. Dopo gli agguati mortali.
Già sono stati versati fiumi di parole per commentare quanto è accaduto sabato 3 maggio dalle ore 18 in poi attorno e dentro alla finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli. Abbiamo detto in altre circostanze che il calcio italiano va chiuso. Potrà apparire uno slogan vuoto, una prospettiva scarsamente realizzabile, significherebbe il fallimento delle società. Ma al punto in cui siamo arrivati, non ci sono molte alternative. Tutte le misure adottate si sono rivelate inutili: i Daspo, le tessere del tifoso, le curve chiuse, le squalifiche dei campi, gli steward. I provvedimenti di pubblica sicurezza e le sanzioni sportive scivolano come acqua fresca sugli autori di tutte queste violenze. Costoro sono sempre lì, pronti a dettare legge come quest’ultimo, il nobiluomo Genny ‘a carogna, figlio di camorristi, la star della serata sulla cancellata della curva Nord. O quell’altro, il presunto sparatore, questo Gastone (Petrolini, perdona loro!) che già aveva alle spalle mille altre imprese, compresa quella clamorosa e beffarda del derby romano sospeso nel marzo di dieci anni fa.
Dirigenti sportivi e padroni dei club sono degli incapaci, pronti ad abbassare la testa e ad abbaiare alla luna. Fanno finta, soprattutto i vari De Laurentiis, Agnelli, lo stesso Galliani e, prima ancora Moratti, che non accada mai nulla, loro hanno sempre una parola di comprensione e di giustificazione verso le frange violente della propria tifoseria, ne subiscono i ricatti senza denunciare nulla, anche dicendolo pubblicamente per dare qualche segnale. Spero che prima o poi accada, ma ne dubito. Ha provato a farlo, pur tra mille contraddizioni e atteggiamenti discutibili, il presidente della Lazio, Lotito. Adesso vive sotto scorta.
Faccio una semplice domanda ai responsabili dei club e ai responsabili dell’ordine pubblico, ministro e questori: quando guardiamo partite di Liga spagnola o di Premier League inglese, ma anche di Champions, colpisce il fatto che non ci sia uno striscione in tutto lo stadio. Eppure non è che la gente non faccia sentire il proprio tifo, a volte anche incazzato e sempre appassionato. Com’è che da noi entra di tutto? Dagli striscioni alle bombe carta? Vi ricordate del motorino lanciato dagli spalti di San Siro? Perché, ripeto, continua ad essere introdotta ogni cosa? E perché una persona perbene deve trovare davanti a sé ostacoli insormontabili per acquistare un biglietto e questi delinquenti non se ne perdono una di partite?
Credo che si debba avere il coraggio di affermare che per chi delinque dentro e fuori di uno stadio occorrono misure eccezionali: arrivo a dire anche di sospensioni delle garanzie di libertà personale. In Inghilterra per battere gli hooligans si è arrivato a questo. Ma gli inglesi hanno vinto, non hanno debellato la violenza ma chi commette reati dentro uno stadio poi se ne pentirà amaramente perché non la passerà liscia. Lì ci sono degli steward che funzionano, qui, poveracci, sono bersagli dei mascalzoni, pagati male e senza alcun potere. E la polizia è costretta a patteggiare: si gioca perché se no è peggio.
Sono certo che l’attivismo renziano produrrà qualche altro bellissimo e sensazionale annuncio: faremo questo e faremo quest’altro. Per non parlare dell’Angelino nazionale, il responsabile del Viminale. Al contrario, bisogna prendersi una lunga pausa di riflessione, diciamo un anno sabbatico, riscrivere le norme e le regole, esautorare lo sport dall’intervenire, lo Stato faccia la sua parte e imponga a Coni, Federcalcio e Lega il rispetto di quanto stabilito. Al primo accenno di ripresa delle ostilità, chiudere di nuovo i cancelli. Capisco che non si possa risolvere tutto con la repressione. Però forse così si consentirà anche ai tifosi autentici di riprendersi la felicità e le arrabbiature, le eterne discussioni sul rigore non dato e sul gol in fuorigioco, sulla fedeltà coniugale della consorte dell’arbitro. Prima o poi la mala pianta verrà estirpata e la gente potrà veramente andare ad uno spettacolo. Ammesso che si faccia ancora in tempo. Perché è probabile che nel frattempo ci saremmo tutti seduti davanti alla tv lasciando gli stadi tristemente vuoti. Anzi in mano a qualche altra carogna. Nella speranza che non ci sia qualcuno a premiare anche loro.