Al museo archeologico di Paestum
Paestum a colori
Una grande mostra recupera la meraviglia cromatica dell'antica Poseidonia e ne ribalta completamente l’immagine in bianco e nero. La scienza del restauro si avvale della tecnologia 3D
Stupefacente. Difficile trovare un altro aggettivo per descrivere la bella mostra che inaugura la primavera dell’arte del museo archeologico di Paestum. Stupefacente, già, questa incredibile Colori nell’antica Paestum, nata dalla sinergia tra la Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, e Fila (Fabbrica italiana lapis e affini) perché ribalta completamente l’immagine in bianco e nero dell’antica Poseidonia che da secoli ci accompagna. Certo, il primo incontro con un’antichità policroma è spiazzante: quei blu egiziano, quei rossi cinabro, quel candido accecante che illuminano l’ocra rosa dei templi ed esaltano le decorazioni di palmette e fogliette gridano al kitsch, così come le statuine devozionali, dalle cromie vivacissime, che ti trasportano in un presepe napoletano collocato nel VI secolo avanti Cristo. Poi ti lasci andare e ti immergi, da spettatore-attore, nel viaggio emozionante di una creatività fatta di colori e di una vita che rinasce dai colori.
La narrazione è resa possibile dall’utilizzo di una tecnologia avanzatissima e sofisticata che fa sì che «il museo – come sottolinea la soprintendente Adele Campanelli – diventi luogo di rivelazione, dove tornare più volte a guardare con occhi sempre nuovi ciò che da tempo si conosce». L’artificio virtuale incontra infatti, la realtà tangibile e con essa si confronta, «sollecitando l’interesse del pubblico – le fa eco la direttrice del museo pestano Marina Cipriani – all’osservazione che ciò che rimane del passato è la permanenza del progetto creativo e non un mutilo frammento». Lungi, però, il pensiero che si tratti di una mostra prettamente didattica che gioca con l’affabulazione del 3D per catturare i giovani con un linguaggio a loro consueto. L’intento è questo, non si può negarlo, anche perché il materiale in esposizione sarà diffuso da settembre nelle scuole. Ma, alla base, c’è un lavoro approfondito di studio, di ricerca, di riflessioni scaturite alla luce delle nuove scoperte.
E, così, quelle tracce labilissime di colore che il tempo in gran parte ha dissolto, ci restituiscono, nella ricostruzione che ammireremo fino al 30 novembre, il volto e lo spirito di una città prima greca, poi romana, poi lucana, la cui esistenza si snoda tra il VI e il III secolo avanti Cristo e su cui continuiamo ad interrogarci. Il percorso è scandito in tre nuclei tematici. Nella sezione «Restituzioni cromatiche» compaiono dieci pezzi scultorei in terracotta, fedelmente riprodotti in scala 1 a 1 con laser scanner e stampanti 3 D, quindi dipinti con cura per rendere leggibile l’originario colore. Di grande suggestione il grande frammento di cornicione con due teste di leone proveniente dal più antico tempio di Poseidonia, oggi noto come la Basilica, e una statua in trono di Zeus. Nel segmento «Colori della vita» sono le tombe dipinte a riconsegnarci preziose tranche de vie della greca Poseidonia e della lucana Paistom che vengono presentate attraverso due filmati multimediali proiettati su quattro grandi schermi, in lingua italiana e inglese, e attraverso l’esposizione inedita di alcune lastre dipinte rinvenute recentemente negli scavi. Vita, morte, aldilà. Il simbolo è la Tomba del Tuffatore, il reperto più celebre esposto nel museo di Paestum e che anima il dibattito culturale fin dalla scoperta fatta da Mario Napoli il 3 giugno del 1968, e che, tuttora, è fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei.
Il film, che porta la firma di Giovanni De Stefano e Paola Pacetti, ci trasporta indietro nel tempo, spettatori dietro le quinte di un banchetto del 480 a. C. Dieci convitati inghirlandati giocano, bevono, suonano, cantano, conversano, si scambiano avance audaci mentre il giovane coppiere pare volersi allontanare da quella festa pronta a trasformarsi in orgia. La scena cambia: una suonatrice di flauto scandisce, al suono del suo strumento, l’incedere leggero e danzante di un efebo nudo, forse un atleta, le spalle coperte da un drappo azzurro; chiude il corteo un uomo barbuto, avanti negli anni, forse un paidagogos, ammantato da un chitone e appoggiato a un nodoso bastone da passeggio. Altro set: un ragazzo nudo è sospeso per sempre nell’istante di un tuffo solitario in uno specchio d’acqua, è la metafora del passaggio dalla vita alla morte, di quell’attimo fermo sulla soglia dell’altrove.
Ci avviamo all’ingresso. Qui, nello spazio che evoca la cella di un tempio greco, è allestita la sezione più colorata dell’esposizione. Il titolo è accattivante: “Prima delle matite”. La visione si fa tattile. Possiamo toccare materiali lapidei e colori antichi, intonaci, malte e utensili, scoprire le tecniche di rappresentazione e coloritura dei nostri antenati della Magna Graecia grazie a tavole teorico-dimostrative, mettere a confronto i colori di millenni fa con i colori di oggi. Il passato dialoga con il presente.