Luca Mazzone
Un'importante vetrina di teatro

Nuovo circo politico

Il nuovo circo si dà appuntamento a Parigi per il festival "Hautes Tensions": una rassegna di spettacoli che puntano sul contatto diretto attori/pubblico. Come nel caso delle prove delle compagnie Sacekripa e Tête d'enfant

È iniziata il  2 aprile a Parigi la quarta edizione del  festival “Hautes Tensions”, promosso e organizzato da La Villette. Un’interessante commistione tra circo contemporaneo e hip hop che si disloca tra grandi spazi frontali, come quello della Grand Halle e del più piccolo Theatre Paris Villette, e piccoli tendoni da circo posizionati in una zona dedicata: Espace Chapiteaux. Spazi diversi che assecondano la concezione poetica come nel caso dei due spettacoli di circo contemporaneo: Marée Basse della compagnia Sacekripa e Tania’s Paradise della compagnia Tête d’enfant.

SacekripaMarée basse è il frutto di tre anni di studio e ricerca sul duo da parte della compagnia Sacekripa, fondata nel 2003. un piccolo Chapiteaux: da una parte il pubblico disposto a semicerchio su rustiche panche di legno, dall’altra una piccola porzione di casa, anch’essa rustica, che richiama alla memoria atmosfere un po’ western, un po’ alla Buster Keaton. Dentro, uno alla volta, con la flemma tipica degli amanti della bottiglia, due brav’uomini, uno smilzo e stralunato, l’altro grosso e barbuto. Il primo, dopo aver ingaggiato una improbabile lotta con una sedia, riesce a fatica a recuperare una mela e armeggia con un coltello affilato nel tentativo di sbucciarla. Il secondo, con fare burbero e precario da ubriacone, stappa a fatica una bottiglia di vino. Ha così inizio un lento, e goffo rituale magico. Il loro quotidiano e poetico rituale: la sapiente preparazione del vin caldo con mele, zucchero e cannella. Un gioco misterioso fatto di piccoli gesti e di un’amara ironia, che sconfina in un humor nero, fatto di precarietà, di inadeguatezza, di sconforto.

Una precarietà da ubriachi e reietti che lentamente ci svela, invece, due raffinatissimi jounglers che trasformano semplici azioni (sbucciare una mela, versare del vino) in momenti di acrobatica poesia. E così tra lame di coltelli e bicchieri di latta, i due uomini ritrovano forse la gloria di un tempo.

Marée Basse ha il sapore un po’ noir e d’antan della malinconia, del ricordo, della memoria di un tempo che fu e che non ritorna. Gloria che lascia il posto ad un’umanità semplice, dolce, che ha il suo apice nel finale, dove la saggezza di chi sa accontentarsi di poco è tutta nell’immagine poetica di un biscotto inzuppato nel vino caldo. Benjamin De Matteïs e Mickael le Guen – sfruttando la prossimità con il pubblico e l’atmosfera di per sé magica di un piccolo tendone da circo, oltreché la scenografia a scatola cinese che nasconde cimeli e tesori di latta – donano cinquanta minuti di raffinato circo, fatto di sudore, lacrime, e in questo caso, vino.

Tania's Paradise della compagnia Tête d'enfantÈ giocato anch’esso sulla prossimità e il rapporto intimo con il pubblico, Tania’s Paradise, della compagnia franco-israeliana attention fragile. Un tendone da circo ancora più piccolo dell’altro, così piccolo che sembra quasi di entrare nella casa delle bambole. Ed è proprio così: entriamo, infatti, nel mondo di Tania Sheflan, nella sua dimensione più intima e familiare. Al centro una pedana circolare rialzata che fa da piccolissima scena per questa giovane israeliana che, prendendo a pretesto la sua vita, inanella una serie di stupefacenti numeri di contorsionismo. Sorge il dubbio però che per Tania il pretesto siano, invece, i numeri di contorsionismo per poter raccontare la sua vita. Per metà sudafricana, per l’altra metà israeliana, questa giovane donna ha vissuto la sua adolescenza in Israele, dove ha svolto – come tutte – il servizio militare, e ha vissuto direttamente sulla propria pelle cosa siano check-point e mura di protezione.

Lo sfondo del conflitto israelo-palestinese viene in primo piano quando la giovane Tania tira fuori,  da una piccola botola sulla scena, una serie di mattoni rossi che dispone diversamente a seconda del racconto, finché non ne palesa la funzione simbolica quando, disponendoli a mo’ di recinto, vi chiude dentro le sue tante bambole, lasciandovi esplodere un pupazzo.

Il racconto intimo e privato di chi vive le guerre (al plurale) senza alcuna presa di posizione politica, nessuna rivendicazione ideologica. La quotidianità fatta di bombe, terra, distruzione, sangue e violenza, attraverso la vita intima e privata di una giovane donna. E la precarietà sull’abisso della guerra è tutta nell’immagine finale di Tania che sulle punte, a passo di danza, dà un tocco ai mattoni, disposti verticalmente in cerchio, scatenando un effetto domino che ben cristallizza l’atroce meccanismo vittima-carnefice alla base della questione mediorientale. Una creazione che sconfina nel “circo” d’impegno, civile, (per coniare un nuovo genere) usando i toni pastello della semplicità e della vita…

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