Valentina Mezzacappa
Shakespeare con Tom Hiddleston

Hitch & Coriolanus

Il capolavoro “romano“ messo in scena da Josie Rourke per il National Theatre è riuscito a metà: funzionano i nodi familiari, ma stentano quelli politici. Quasi come in un film di Hitchcock

Abbiamo visto l’acclamata produzione targata National Theatre del Coriolano di Shakespeare e abbiamo capito una cosa che già avevamo intuito qualche anno fa osservando Gerard Butler nella pellicola diretta e interpretata da Ralph Fiennes: quanto è difficile scegliere l’attore giusto per il ruolo di Caio Marzio e quello di Aufidio. Dispiace dirlo ma Tom Hiddleston, l’attore oggi conosciuto ai più per la sua interpretazione del fratello adottivo di Thor, Loki, non convince nel ruolo del valoroso condottiero e patrizio romano. E lo stesso vale per la sua nemesi, il comandante dei Volsci Tullio Aufidio, interpretato da Hadley Fraser.

Hiddleston coglie con straordinaria sensibilità l’aspetto più nobile del suo personaggio, vale a dire la sua purezza, la sua solida coerenza interiore e il rispetto profondo per la famiglia ma quando si tratta di lasciare fuori dalla stage door Tom per trasformarsi nel drago al cui passare la terra si raggrinza ecco che la sua interpretazione vacilla e le cicatrici che ne marchiano il corpo falliscono nell’intento di marchiarne anche l’anima. Il risultato è un’interpretazione disomogenea, povera di tensione, durante la quale riaffiora spesso, come se lo scienziato di nobili intenti Hyde stesse facendo la guerra al brutale Jekyll, il buon Hiddleston. Questo risulta particolarmente vero nella scena che vede Caio Marzio mendicare (per dirla con parole sue) il consenso del popolo perché egli sia eletto console. Il suo disprezzo per la plebe è sarcastico e gigionesco e finisce con sacrificare l’uomo che ha saputo interiorizzare così profondamente la propria condizione patrizia tanto da diventarne un emblema in carne ed ossa e l’uomo così avvezzo alle leggi di guerra tanto da risultare comunicativamente incapace nel mondo civile che quelle leggi non riconosce.

Un cordone ombelicale nel quale scorre un odio viscerale nutre il rapporto fra Caio Marzio e Tullio Aufidio. L’Aufidio di Fraser non riesce a superare lo status di personnage révélateur. La sua bidimensionalità ne fa uno strumento utile a rivelare, a portare verso l’esterno i tratti del protagonista e nulla più. Inoltre Fraser dimostra nella scena dello scontro uomo a uomo con Coriolano una fisicità scenica ancora acerba, le cui imperfezioni penalizzano il crescendo di tensione e drammaticità.

National TheatreOvviamente non siamo così naif da addossare l’intera responsabilità ai due attori, entrambi giovani di indiscusso talento. Sono molte le variabili intervenienti che possono influenzare il risultato di un’interpretazione (soprattutto se questa è live), tra queste quella più importante è senza dubbio la regia e la direzione che questa decide di intraprendere nell’approcciare un testo in vista di una sua messa in scena. E ci dispiace dover esprimere un simile giudizio, perché Josie Rourke ha firmato delle notevoli produzioni in passato oltre a rivestire attualmente l’incarico di direttore artistico del Donmar Warehouse.

È senza dubbio apprezzabile quanto ammirevole la ricerca iconografica e storica compiuta dalla Rourke insieme alla costumista e scenografa Lucy Osborne che pone l’accento sull’uso della comunicazione nell’antica Roma sia in ambito politico sia popolare. Utilizzando i muri scarni del Donmar e fondendo l’antica usanza romana delle scritte di natura politica con la video arte Osborne e Rourke trasformano la scenografia in un vero e proprio membro del cast, in una sorta di coro greco avveniristico. Sfortunatamente tutto questo non basta. L’impressione che si ha dal primo momento in cui Caio Marzio appare sulla scena è che ci si sia dimenticati di scavare a fondo nella sua natura marziale e che egli indossi le proprie cicatrici come un costume di scena invece di viverle come una condizione psicologica e emotiva.

Inoltre lascia spesso perplessi il taglio dato alla relazione fra madre e figlio, fra Caio Marzio e la Volumnia di Deborah Findlay. Ammettendo che in ogni relazione fra genitore e figlio vi sia sempre qualche, anche minimo, elemento patologico, quella messa in scena dalla Rourke richiama spesso alla mente situazioni, sensazioni, istintive reazioni che sarebbero state di certo apprezzate da Hitchcock, risultando nell’ennesima interruzione della tensione drammatica.

Emoziona profondamente la scena finale quando Coriolano si commuove dinanzi alle suppliche della sua famiglia devastata dal dolore e dalla decisione di questo di allearsi a colui che in passato era stato la sua nemesi, ma non basta, perché Coriolano è un nobile dragone e dalla sua più intima essenza non può scappare nessuno. Né lui, né chi decide di ridar vita alle sue gesta.

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