Giuliana Vitali
Tre prose poetiche dimenticate

Cardarelli perduto

Storia di tre inediti del grande poeta, arrivati un po' per caso un po' per affetto nelle mani di una nostra collaboratrice. Donati da Michela Bucci, moglie di Fabrizio Onofri

L’anno scorso, per un curioso concatenarsi di eventi, mi è capitato di ricevere tra le mani delle pagine preziose di scritti composti e firmati da Vincenzo Cardarelli, grazie a Michela Bucci. Non è stato il suo primo dono, qualche tempo prima mi aveva dato un libro sulle Quattro giornate di Napoli. Ci teneva tanto e forse, nella sintonia nata tra noi, c’entra anche la sua simpatia verso la mia città d’origine, la tradizione e la cultura partenopea.

Il primo incontro con Michela è stato nella caffetteria dove Nanni Moretti fa colazione la mattina, a Monteverde Vecchio, a pochi passi dal palazzo in cui per alcuni anni abitò Pasolini e dove ora è apposta una targa in suo ricordo. Seduta a un tavolino attaccato al muro con il bastone appoggiato alla sedia, leggeva l’Unità mentre sorseggiava con lentezza un cappuccino. A quell’ora, di mattina presto, la luce invade il piccolo locale rafforzando i tratti somatici delle persone ancora assonnate. Sulle sue tenere rotondità, gli occhi dolci e forti che guardano il mondo da oltre novant’anni, occupati in una appassionata lettura, mi fanno pensare che da ragazza doveva essere molto bella. Michela è una cara amica della madre del mio compagno e fu la prima moglie di Fabrizio Onofri, poeta, scrittore ed esponente del Partito Comunista italiano, nato a Roma nell’Agosto del 1917; un intellettuale engagé portavoce della classe operaia e Medaglia di bronzo al valor militare durante la guerra di Liberazione nel 1943. Partecipò alla nascita della casa editrice Feltrinelli a Milano, della quale fu direttore editoriale per un breve periodo fin quando non lasciò l’incarico per tornare a Roma a causa di alcune divergenze con Giangiacomo Feltrinelli. Fondò la rivista mensile Tempi moderni dell’economia della politica della cultura che curò per diciannove anni, dal 1958 all’inizio del 1977. Come ogni artista tormentato non aveva un carattere facile, era di personalità litigiosa. Morì in solitudine a Fregene l’8 Maggio 1982. Eppure Michela lo ha amato molto durante gli anni del loro intenso matrimonio. Sentiva, nonostante i conflitti interiori che Fabrizio viveva, di essere   un punto di riferimento certo per lui come alle volte mi ha raccontato.

Michela, negli anni subito dopo il secondo dopoguerra, fu tra quelle donne rivoluzionarie che si battevano per la loro emancipazione, si pensi alle vite travagliate di Sibilla Aleramo o Maria Montessori ad esempio. Scriveva sull’Unità, partecipava agli eventi organizzati dal Partito Comunista, era in contatto con la piccola cerchia di intellettuali di quell’ intenso e irrequieto periodo storico-culturale. Lettere, corrispondenze, giornali, dediche, scritti da Calvino a Pasolini e chissà quanti altri nascosti tra i libri della sua biblioteca.

Un giorno, conoscendo l’attività di scrittore e critico di mio padre, mi regalò dei testi ritrovati a casa sua, donati a sua volta da Vincenzo Cardarelli a Fabrizio Onofri. Tre componimenti in prosa, scritti di suo pugno e mai pubblicati. Mi disse che probabilmente Vincenzo, essendo legato da un profondo legame d’amicizia a Fabrizio, avrebbe avuto piacere nel chiedergli un piccolo parere circa quelle sue riflessioni impresse su carta come si è solito fare tra compagni che condividono le stesse passioni. Cardarelli, scrittore e poeta, nacque il Primo Maggio del 1887 in un paesino in provincia di Viterbo. Il padre non voleva che studiasse, il suo sogno era quello che diventasse un buon commerciante. Quando però nel 1905 il padre morì, si trasferì a Roma, abbandonando il paese natale per il quale nutriva un rapporto di odio e amore a causa dell’infelice infanzia solitaria dovuta anche alla sua diversità, avendo una menomazione al braccio sinistro. Si dedicò alla bramata scrittura portando sempre con sé il cruccio di un padre che “senz’accorgersene fece la mia rovina” (da “Il Sole a picco”, libro del 1929 vincitore del Premio Bautta). Fu amante per alcuni anni di Sibilla Aleramo ma la loro relazione restò platonica e durò poco. Collaborò con diversi giornali culturali come Il Marzocco, La Voce e fu tra i fondatori della rivista letteraria La Ronda a cui parteciparono numerosi artisti e pittori metafisici come Carlo Carrà che contribuì con articoli su Matisse, Cézanne, De Chirico. Vinse diversi premi letterari come Lo Strega nel 1948 con Villa Tarantola, libro composto da otto prose e che superò in quell’edizione tra i vari concorrenti, anche Il compagno di Cesare Pavese. Morì nel 1959, al Policlinico di Roma, solo e in povertà. Le sue opere sono autobiografiche, fotografie impressioniste di paesaggi, stagioni, eventi della sua infanzia che raccontano un estremo senso desolato del vivere. E queste prose ritrovate ripercorrono questi stessi temi raccontati fluidamente, in una poesia ragionata e di grande limpidezza formale seppure dalla grafia difficile.

Voce di donna è il titolo del primo testo inedito in cui il poeta si rivolge ad una figura femminile lasciando spazio a ricordi: «Quando la musica si fermò, tu che avevi saputo comportarti fin lì con una disattenzione piena di armonia, composta come una bambina, ad ascoltare delle meraviglie che non comprendevi, cominciasti a discorrere fluidamente di cose estranee, lontane lontane, e che tornano alla memoria a un tratto non si sa in che modo, come accade di discorrere di mattina quando ci si desta da un buon sonno, o dopo una lunga, inconsapevole riflessione […]».

Le pagine continuano con un’immagine di un altro componimento: Paesaggio che descrive un vecchio gioco popolare di strada, il ruzzolone: «[…] Ricordo le grandi partite domenicali, quando si gioca con le forme di cacio. Una folla festosa, critica, ingombrante. La gloria del bravo tiratore, dell’agile vincitore di curve […]».

L’ultima prosa poetica è Canto d’Autunno, tema ricorrente nelle opere di Cardarelli dove il trascorrere delle stagioni diventa metafora dell’eterna mutevolezza delle cose, lo sfiorire dell’adolescenza e della bellezza: «[…] Questi brividi di distacco che ci allontanano da quel che eravamo ancora ieri incalcolabilmente non sono che le prime, inutili reazioni del nostro spirito all’inevitabile oblio […]».

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