Giuseppe Grattacaso
Una riflessione sull'Alzheimer

La memoria di scorta

“Ti ricordi la Casa Rossa?", il primo libro di Giulio Scarpati, è una "lettera” a una madre malata che non riesce più a ricordare. Così l'autobiografia diventa una necessità vitale

Chi conosce Giulio Scarpati può facilmente immaginare quanti dubbi e ripensamenti debba avere avuto prima di consegnare all’editore il manoscritto del suo primo libro. Scarpati è attore di grande sensibilità e professionalità, che ha saputo non farsi fagocitare dal successo e dalle sue regole, come quella che vuole che il privato di chi è sotto i riflettori sia da consegnare senza limiti alla curiosità del proprio pubblico. Anzi l’attore in queste settimane impegnato in palcoscenico con Oscura immensità di Massimo Carlotto, regia di Alessandro Gassman, è persona piuttosto schiva, riluttante a mostrare la parte più profonda della propria personalità, a raccontare gli affetti. Invece di fronte alla pagine scritta e all’urgenza di una comunicazione non più possibile, almeno secondo i canoni abituali, con la madre malata di Alzheimer, che giorno dopo giorno perde il contatto con la realtà presente e con il proprio passato, Scarpati non si è sottratto alla confessione dei sentimenti né ad addentrarsi nella narrazione di avvenimenti che riguardano anche i legami familiari più profondi.

Ti ricordi la Casa Rossa? (Mondadori) è, come suggerisce il sottotitolo, una lettera alla madre, che assume le caratteristiche di un lungo racconto autobiografico ambientato all’interno del vivace gruppo familiare. La narrazione si sviluppa proprio a partire dalla casa particolarmente amata dalla madre di Scarpati, la Casa Rossa appunto, che si affaccia sul mare del Cilento, a Punta Licosa,  in una zona selvaggia e incontaminata. Lì a partire dagli anni Sessanta la famiglia trascorreva le vacanze estive, in quell’«antro splendido e misterioso», che assume nel ricordo il valore di luogo incantato, teatro dell’infanzia avventurosa e del mito domestico. Ma Flavia, la “grande madre”, napoletana di origini svizzere, la donna forte artefice di tante battaglie sul fonte ambientalista, non può più ricordare. È così che il figlio Giulio si propone di raccontarle avvenimenti e persone della loro vita, di rievocare i luoghi, insomma di diventare una sorta di nuova memoria per la madre, oggi novantenne, nella speranza che qualcosa del suo racconto ad alta voce possa valicare la barriera del silenzio di cui è ormai vittima la donna.

«Sei disconnessa – scrive Scarpati -. Come un astronauta che ha perso i contatti con la torre di controllo. Non sembri più muoverti come noialtri, in verticale, tra presente, passato e futuro, ma in orizzontale, dove passato, presente e futuro vivono contemporaneamente. (…) Sei l’unica passeggera dentro una macchina del tempo manovrata da nessuno». In effetti Ti ricordi la Casa Rossa? è anche l’accorato tentativo di penetrare in questo mistero doloroso e respingente formato di un tempo frammentato e scomposto, di cui Giulio Scarpati tenta di mettere in ordine i tasselli, di suggerire un senso logico che penetri oltre la cortina dello sguardo assente e lontano della madre.

La narrazione è coraggiosa e non evita i passaggi più penosi. A tratti diventa struggente, in particolare nelle pagine finali, quando il tema della malattia si fa pressante e drammatico. Ma Scarpati riesce a raccontare con leggerezza, senza piangersi addosso (anche se dice a un tratto a sua madre «la commedia non era proprio la tua cifra, consideravi la leggerezza quasi una cosa negativa (…) invece l’ironia è diventato il mio strumento di difesa, un filtro per non assorbire le cose così come le proponevi tu, dirette, bianche o nere»). Eppure questo modo lieve di dire non si traduce in superficialità, anzi sa far riflettere su una malattia che è sempre più diffusa, che rende estranei coloro che sono stati prossimi e che schiaccia passato e futuro in un tempo senza profondità, un tempo confuso e inutile. Riferendosi ai propri figli, cioè ai nipoti di Flavia, Scarpati scrive: «Ci sono io che ti racconto di loro, qualche volta credo che tu capisca tutto, altre ho la sensazione di parlare da solo. A tratti il tuo sguardo mi dice qualcosa. Ma sono un bravo interprete? Non la capisco questa lingua! Come quando sogni che qualcuno ti parla ma non riesci a capire. Peccato per te, peccato per loro che hanno dovuto salutarti prima del tempo. Peccato per questa assurda perdita di tempo e questo dolore inutile».

Ti ricordi la Casa Rossa? è anche il viaggio in un passato personale e collettivo, in cui si rievocano i vari momenti della carriera artistica di Scarpati così come azioni e consuetudini ormai perse, frutto di un modo di stare insieme, di confrontarsi e di comunicare, che l’autore guarda con nostalgia, un’epoca dove tutto era più povero, forse meno elegante, ma sicuramente anche meno segnato da una volgarità diffusa e  da piccoli interessi personali a cui ci siamo progressivamente assuefatti.

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