La crisi della Crimea
La guerra calda
Tra Obama e Putin è rottura totale ma il leader russo non se ne preoccupa. Sembra quasi che il tempo sia improvvisamente tornato indietro di un secolo. Riportandoci alle folli inquietudini della guerra fredda
Che tra Obama e Putin non corra buon sangue è ormai noto da tempo. E non ci voleva la crisi Ucraina per saperlo. Dal blocco delle adozioni di bambini da parte della Russia, alla vicenda Snowden, a quella della guerra civile in Siria a quella infine dell’omofobia manifestata in occasione giochi olimpici, si sono registrate nel corso degli ultimi anni frequenti frizioni tra i due paesi. E anche nella cultura popolare serpeggia questa avversione soprattutto nei confronti di Putin. Così, ad esempio, il leader russo è divenuto un bersaglio costante della popolare trasmissione serale di David Letterman il quale continua e scagliare contro di lui strali avvelenati prendendosi gioco della sua vanità e del suo machismo che sono divenuti oggetto di un umorismo pesante. Il fatto che si faccia ritrarre a torso nudo mentre pesca o mentre cavalca un puledro sono, ad esempio, secondo il popolare conduttore americano, sintomi di una latente omosessualità repressa che lo porta a perseguitare i gay.
Il passato di Putin legato al KGB, la sua personalità autoritaria, i suoi metodi da Unione Sovietica, lo rendono inviso all’amministrazione Obama la quale è invece già frutto di una generazione postcomunista che considera i metodi di Putin archeologia politica. Perfino Kerry che certo è più anziano e conosce bene il modus operandi comunista non è tenero nei confronti di Putin. «Non ci si comporta nel 21 esimo secolo come se si fosse nel 19esimo invadendo altri paesi sulla base di un pretesto creato ad arte» ha affermato il Segretario di Stato parlando alla trasmissione Face the Nation sul canale CBS.
«Ci saranno dei costi se Putin decide di mandare truppe in Ucraina». Così tuonava Obama giorni fa alla notizia che ci sarebbero stati movimenti militari nella regione. «Infatti ciò violerebbe le leggi internazionali e sarebbe profondamente destabilizzante; il che non è nell’interesse dell’Ucraina, della Russia o dell’Europa. Rappresenterebbe un’interferenza pesante che viceversa dovrebbe essere decisa dal popolo ucraino». Le autorità ucraine hanno chiuso infatti gli spazi aerei sulla penisola della Crimea già dallo scorso venerdì e aerei russi sono atterrati nell’area della capitale della regione. I media ucraini hanno riportato interruzioni nelle comunicazioni telefoniche e internet, mentre uomini armati appartenenti a forze militari e paramilitari russe hanno circondato le stazioni televisive. Il presidente dell’Ucraina ha accusato Putin di cercare di accerchiare il territorio, una regione semiautonoma che è importante strategicamente e storicamente per la Russia. Che infatti usa da lungo tempo il porto di Sebastopoli in Crimea come quartiere generale della sua flotta nel Mar Nero.
La tensione in Crimea potrebbe influenzare il rapporto di cooperazione della Russia con gli Stati Uniti specie riguardo alla guerra civile in Siria, allo sforzo internazionale per negoziare l’accordo con l’Iran e a quello sul nucleare in Afghanistan tra altri obiettivi. Pertanto proprio per non compromettere gli accordi su questi delicati problemi la Casa Bianca finora è stata molto cauta rispetto alla situazione ucraina. Inoltre questo paese è profondamente diviso tra una presenza etnica russa consistente che vuole il ricongiungimento con la grande Russia e quella che invece vuole l’indipendenza.
La Crimea venne “regalata” all’Ucraina nel 1954 dall’allora leader sovietico Nikita Krusciov per celebrare i 300 anni dell’unione tra i due Paesi. Oggi la Russia è pronta ad entrare in guerra per la Crimea. «Se l’Ucraina si spacca – ha scritto il Financial Times alcuni giorni fa riportando le parole di un’importante fonte moscovita – la Russia scatenerà una guerra. Perderanno subito la Crimea perché interverremo per proteggerla, esattamente come abbiamo fatto in Georgia, quando nell’agosto 2008 le truppe russe invasero il paese dopo un attacco lampo (fallito) delle forze georgiane nell’Ossezia del sud. Ieri a Simferopoli, la capitale della Repubblica autonoma, centinaia di ucraini russofoni si sono messi in coda – in presenza dei reporter stranieri – per arruolarsi nelle “brigate popolari” per difendere la Crimea, se necessario».
Obama non ha ancora esplicitato chiaramente la strategia americana, ma ha lasciato intendere che potrebbero esserci ripercussioni internazionali se la Russia intervenisse. «Adesso, dopo che il mondo è venuto in Russia per i giochi olimpici, questo atteggiamento potrebbe comportare una condanna delle nazioni di tutto il mondo» – ha affermato il presidente. La Russia così rischia «il posto per il summit dei G8 di Sochi a giugno» ha affermato la Casa Bianca. E le ritorsioni oltre a questa politica di livello internazionale che si abbinerebbe per gli americani al ritiro degli ambasciatori da Mosca e al blocco dei visti di ingresso negli Usa, potrebbero essere di vario tipo. A cominciare da quelle economiche che potrebbero andare dal congelamento dei beni russi in territorio americano alle sanzioni. E come ultima opzione anche a forme di intervento militare che se non direttamente nelle zone delle operazioni di guerra potrebbero consistere in manovre di rafforzamento militare con l’aiuto della Nato ai confini della Polonia.
Il fatto è che l’Europa appare divisa con la Francia e l’Inghilterra che appoggiano la fermezza dell’intervento americano, mentre la Germania della Merkel, sostenuta dall’Italia che ha interessi energetici nella zona, sta trattando autonomamente con Putin è sembrata fino ad ora più possibilista. Anche se gli ultimi sviluppi tuttavia registrano una cancelliera tedesca scoraggiata riferire ad Obama di un Putin che «ha smarrito il senso della realtà». Le divisioni europee non giovano alla coesione di un fronte unitario in grado di bloccare le pretese espansionistiche di Putin che ad ogni momento diviene più aggressivo e lancia ultimatum di resa alle forze armate ucraine. La situazione si fa di ora in ora più difficile e delicata. Soprattutto perché queste sembrano vere e proprie dichiarazioni di guerra accompagnate da una protesta popolare che si espande a macchia d’olio e non promette niente di buono.