Storia di una diva atipica di New York
La favola di Amanda
Si chiama Amanda Palmer. Cominciò come statua da strada, poi fu tentata dalle major musicali e adesso è la regina della webmusic. Ossia un esempio (felice) delle potenzialità della rete
I think people have been obsessed with the wrong question, which is «how do we make people pay for the music?». What if we started asking: «How do we let people pay for the music?». Amanda Palmer
Qualsiasi attività sociale, dal commercio alla politica, sottende in qualche modo filosofie alternative: o si indirizza verso la cooperazione o verso la competizione. Da alcuni decenni, quest’ultima visione del mondo prevale, e in assenza di argini si è fatta sempre più aggressiva e incontestabile, fino a diventare, come si dice, “pensiero unico”.
Il mercato musicale è stato uno dei tanti luoghi in cui quest’ideologia si è esercitata, nella pretesa di servire/asservire la totalità dei consumatori culturali a quattro soggetti in tutto, ossia ciò che resta delle major discografiche: i più forti che hanno divorato i più deboli, in un processo antropofago che andò sotto il rassicurante nome di “fusioni”. Una semplificazione auspicabile per alcuni, viziata però dal grave difetto di applicarsi a un mondo che diventava sempre più complesso… Infatti, giusto mentre la “banda dei quattro” sognava un consolidamento del proprio impero fondato sul monopolio (o quasi) della distribuzione, nasceva e si sviluppava internet, cioè un mezzo che consentiva a chiunque di distribuire musica in ogni più remoto angolo del mondo senza alcuna mediazione o costo di trasporto…
Val la pena notare di sfuggita che la prima rete telematica in ambito culturale è nata proprio nel jazz: si chiama Europe Jazz Network e venne fondata in Italia, a Ravenna, nel lontano 1987, ma verso la fine del secolo scorso fu indotta a emigrare nella più ospitale e illuminata Parigi dal totale disinteresse delle istituzioni italiane di ogni ordine e grado.
Sia come sia, mentre l’architettura del mercato musicale cambiava radicalmente e irresistibilmente, le major del disco restavano abbarbicate al vecchio ordine: tentativo di sopravvivenza tanto comprensibile quanto inattuabile, per il quale si possono proporre metafore a iosa che il lettore può scegliere da sé: svuotare il mare con un cucchiaino, tappare col ditino la falla nella diga (funziona nella favola, non nella realtà), eccetera eccetera… Ma soprattutto hanno perso quella capacità di selezionare i talenti da inserire nel mercato che una volta era affidata ad Artists & Repertoire Men del calibro di Duke Ellington e John Hammond!
Si dice che oggi la selezione del talento sia più difficile perché sono attivi molti più musicisti che in passato. Secondo me è solo parzialmente vero: è che oggi, attraverso la rete, sono più “visibili”, magari presso ristrettissime cerchie, ma di sicuro più ampie di quelle dei garage in cui erano relegati fino a qualche tempo fa. Certo, finora internet ci ha mostrato a che livello insostenibile possano salire i livelli di competitività. Ora però inizia anche a mostrarci quanto possano pesare i sentimenti alternativi: la prossimità, l’empatia, la solidarietà.
L’ha capito bene Amanda Palmer, artista di punk-cabaret newyorkese e in qualche modo icona della forma mentis appena descritta. Da poco laureata, esordisce come “statua vivente”: in piedi su una cassetta della frutta e di bianco vestita, impersona “The Eight Foot Bride”, la sposa alta due metri e mezzo. Da quell’esperienza in strada, guardando immobile e silente le solitarie persone che passano, impara la poesia della vita (quella che gli A&R Men delle major non sanno più scovare), l’importanza del contatto diretto, e dello scambio. Più precisamente, scambia sguardi: alle persone che lasciano una moneta nel suo bussolotto regala un fiore, un inchino e un’occhiata che dice «ti vedo». E quelle, silenziosamente, rispondono: «Non mi vede mai nessuno, grazie»…
A un certo punto Amanda lascia il suo “lavoro” per intraprendere, con le Dresden Dolls, una carriera d’artista, già profondamente segnata da ciò che ha appreso nella sua vita precedente: l’importanza del contatto diretto, l’offrirsi agli altri con grazia e sincerità. In una prima fase è solo una local heroine, ma col tempo i suoi strumenti di interscambio si fanno più sofisticati ed efficaci. Scopre i social network. A Londra twitta: «Ci servirebbe un pianoforte per fare un po’ di prove», e arrivano dieci messaggi che dicono «a casa ho un piano, venite quando volete». A Melbourne chiede «dove posso comprare un inalatore?», e si materializza un’infermiera con inalatore in mano; a Seattle manca il catering e i fan le portano deliziose pietanze fatte in casa; a Newport chiede un cappello a cilindro, e così via. Una famiglia di immigrati irregolari li invita a dormire a casa loro, e la madre le dice in un inglese approssimativo: «La tua musica ha molto aiutato mia figlia, grazie!». È vero: la musica che ti piace ti fa bene! Ecco: sono generosi e grati al tempo stesso, anzi, forse sono generosi anche perché sono grati. È quello stesso meccanismo di fiducia reciproca che Amanda ben conosce da quando era una statua vivente e scambiava sguardi.
Grazie a una popolarità crescente, nel 2008 la Palmer registra il primo disco a suo nome per una major, che vende 25.000 copie in poche settimane. Mentre i membri della band si congratulano a vicenda per questo apprezzabile risultato, secondo la major quei numeri sono invece fallimentari, per cui rescinde il contratto.
Una sera, all’uscita da un concerto, un ragazzino si fa incontro ad Amanda, con gli occhi bassi le porge una banconota da dieci dollari e dice: «Scusami, ho masterizzato un tuo Cd e volevo rimborsarti, ci terrei che prendessi questi soldi»… Da quel momento in poi Amanda decide di offrire gratuitamente sul suo sito tutta la sua produzione artistica. I suoi fan sono al corrente del fatto che anche lei deve mangiare due volte al giorno: vedano loro quanto vogliono contribuire allo scopo; offerta libera.
Quando arriva il momento di produrre un secondo disco (con la sua nuova band che si chiama significativamente The Grand Theft Orchestra, l’orchestra del grande furto) scopre che per produrlo servono almeno 100.000 dollari. «Ho chiesto aiuto, come facevo quando ero una statua per la strada. Sono arrivati un milione e centonovantaduemila dollari». Probabilmente la più grossa cifra mai raccolta con un crowdfunding. E così finisce, per il momento, la favola di Amanda, che però ha il pregio di non essere una favola, ma vita reale.
Ultimamente viene spesso rilevato come su Internet la gente tiri fuori il peggio di sé. Sarà utile aggiungere che ugualmente può tirar fuori pure il meglio. Dipende da che gente è, e anche dal tipo di approccio che avrete con loro… Per dirla con Peppino De Filippo, la rete «è come una minestra, più ci metti dentro e più ci trovi».