Lidia Lombardi
Gabriela Montero, concerto alla Iuc

Dolente Venezuela

Tra Brahms, Schumann e improvvisazioni su richiesta del pubblico, nell’aula magna de La Sapienza la celebre pianista ha dedicato al suo Paese, oppresso dal governo di Chavez, un'esecuzione di rara intensità

I titoli dei quotidiani sul Venezuela che annega nel sangue gli antichavisti – esplosione di protesta trainata dall’indigenza della maggior parte dei cittadini, a fronte del trionfalismo della sinistra che ha governato e governa – registrano un’eco particolare, ed emozionale – tra gli spettatori che, in questo marzo pieno di rivoluzioni, hanno ascoltato Gabriela Montero alla Iuc, la gloriosa Istituzione Universitaria dei Concerti che tiene il suo bel cartellone nell’aula magna de La Sapienza, sullo sfondo del grande affresco di Mario Sironi. La pianista nata a Caracas oltre 40 anni fa (ma la snella figura e i capelli lunghi la fanno più acerba – foto: © Christian Schlüter/EuroArts) era per la prima volta nella Capitale. E c’era attesa per la perfomance, un’attesa motivata dalla sua fama – è prediletta da Martha Argerich – ma anche dalla particolarità dei suoi concerti. Ovvero la capacità di Montero di improvvisare. Mica una scappatoia per confondere il pubblico accorto della Iuc e degli altri auditori, proponendo brani estemporanei e glissando su grandi e ardue partiture. Invece un modo per affiancare alla musica firmata la sensibilità di artista e di donna consapevole delle sfide e dei drammi della contemporaneità.

Così, la serata Iuc si è divisa in due parti. Nel primo tempo, Gabriela ha affrontato due autori romantici assai poco agevoli per le dita di esperti pianisti. Ecco i Tre intermezzi op. 117, tardo lavoro di Brahms nel quale l’irresolutezza, la melodia quasi negata nel frammento richiedono rigore e concentrazione in chi lo esegue. Ancora più problematica la Fantasia in do maggiore op. 17 di Schumann, impegno giovanile nel quale l’autore procede alla rovescia, appunto inseguendo l’altalena della fantasia e della sperimentazione. Trovandosi per esempio nel primo movimento in una sequenza di improvvisazioni centrifughe dal tema musicale, che si afferma soltanto alla fine. Montero ha affrontato il cimento con determinazione e resa quasi teutonica, battendo sui tasti con forza e comunque dominando sempre con perizia e sentimento le note.

Poi, dopo l’intervallo, il gioco delle improvvisazioni, atteso dal pubblico con curiosità. «Ne farò cinque, ma siete voi che dovete suggerirmi la musica», ha colloquiato la pianista con l’auditorio. In realtà, le commissioni sono state solo quattro, perché un tema, il terzo, l’ha scelto lei stessa. «Adesso vi voglio parlare del mio Paese, dove soltanto ieri ci sono stati due morti negli scontri in piazza», ha esordito, per poi quantificare le vittime del governo chavista e puntare l’indice nella mancanza di libertà che soffoca il Venezuela: «Un artista non può dimenticare quello che succede in patria, anche se è lontano, e suona dall’altra parte del mondo». Il pubblico ha fatto silenzio e dai tasti è emersa una musica dolente e forte, un grido cupo, in un crescendo impetuoso che a molti ha rammentato, in pittura, Guernica di Picasso. La presenza asfissiante della polizia, le cariche violente, il sangue, i pestaggi, la soggezione del popolo, la rassegnazione gonfia di ira, l’urlo dei giovani in piazza, tutto ciò Montero ha assemblato in uno sfogo che non ha fatto a meno di citare, La marcia funebre di Chopin. Il pubblico ha applaudito commosso. Così come, prima e dopo, aveva provato divertimento e ammirazione per le improvvisazioni sull’Amen di Dresda di Mendelssohn, sul tema della pace, sull’armonia portante del Va pensiero di Verdi, piegato quest’ultimo perfino al jazz e al tango. Senza parlare della sorprendente richiesta di un ragazzino che ha accennato il motivo di Bella ciao. La pianista l’ha provato venti secondi sulla tastiera e poi via, in un divertissement che ha trasformato l’inno sanguigno e propagandistico dei partigiani in seriosa pagina di musica classica, con svolazzi ottocenteschi e paludati.

«La mia musica sono io», ama ripetere Gabriela Montero. Che si piega con maestria ai pentagrammi più blasonati della storia della musica. Ma che resta nell’hic et nunc e così sa scuotere il suo pubblico.

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