Sulla scena di Roma
Teatri paralleli
Due spettacoli con stili e motivazioni opposte: “Il borghese gentiluomo" di Venturiello e Tosca, e "Amleto?" della Macelleria Ettore. Due modi diversissimi di emozionare. Due pubblici entusiasti ma lo stesso problema: la carenza di spazi e attenzioni istituzionali
Provate a immaginare due spettacoli teatrali agli antipodi che pure hanno problemi simili: a me è successo in poche ore di avere davanti agli occhi questa fotografia gioiosa e dolente del nostro teatro. I due spettacoli che ho visto praticamente in sequenza sono: Il borghese gentiluomo di Molière con Massimo Venturiello e Tosca e le musiche (determinanti ai fini della riuscita della messinscena) di Germano Mazzocchetti; e Amleto? Della compagnia Macelleria Ettore su testo e regìa di Carmen Giordano. Che c’entrano uno con l’altro? Qualcosa c’entrano. Mi spiego.
Lo spettacolo di Venturiello, Tosca e Mazzocchetti è colorato e gioioso: teatro allo stato puro. Non solo la musica è al suo massimo comunicativo, ma anche la scena di Alessandro Chiti è ben riuscita esattamente come i magnifici costumi di Santuzza Calì. La storia del Borghese è nota: Molière vi racconta di un ricco aspirante gentiluomo che si lascia infinocchiare dall’innamorato della figlia al termine di una clamorosa mascherata arabeggiante nella quale il “borghese” anziché nobile viene proclamato mammalucco. È soprattutto nella festa alla turca, nel raggiro, insomma, che lo spettacolo diventa una goduria per la sua ricchezza di colori e invenzioni. Così dev’essere; anzi così può essere: teatro come forma alta di intrattenimento per il gusto degli occhi e delle orecchie. E poi lì dietro c’è Molière che da qualche centinaio d’anni sfotte le debolezze eterne degli arrivisti e degli idioti. Venturiello questo “messaggio” lo preserva dietro alla sontuosità del suo impianto scenico; ma volutamente la cattiveria del maestro francese (pensate alle ancora modernissime riflessioni di Cesare Garboli in merito!) è lasciata in secondo, terzo piano rispetto al piacere dello spettacolo.
Amleto? invece è uno spettacolo che nasce da altre urgenze. Due giovani attori in scena, interpretati da Stefano Detassis e Maura Pettorruso, stanno provando la tragedia di Shakespeare e alternano alcune battute di Amleto e Ofelia (soprattutto, ma non esclusivamente) con qualche accenno alla propria vita privata. Dai quali lo spettatore capisce che la donna non sopporta più l’uomo accusandolo di essere incapace di agire e di dare un senso alla propria vita. L’uomo, insomma, basta a se stesso e alla vanità della propria inconsistenza, della propria ricerca (vana) di un senso all’interno di sé. Si capisce subito che i due attori/personaggi vivono ciò che Shakespeare ha scritto e ciò che loro stessi stanno provando. È un modo interessante e inedito di leggere Amleto. Perché questo è Shakespeare: una fucina ricca e meravigliosa di idee, parole, sentimenti, rabbie e passioni. Le stesse cose che in poco meno di un’ora di spettacolo Stefano Detassis e Maura Pettorruso mettono di fronte agli occhi degli spettatori. Per il resto: la scena è totalmente nuda, illuminata (non sempre, spesso le voci e i suoi dei movimenti dei corpi arrivano nel buio totale) da cinque proiettori. Ciò non toglie che la magia del teatro sopravviva intatta.
Ho visto i due spettacoli in due domeniche consecutive, a Roma: Il borghese gentiluomo al Parioli, Amleto? all’Argot. Benché con capienze diverse, le due platee erano colme. Questo soprattutto mi ha stupito. Il pubblico esiste. Anzi ne esistono tanti. Almeno due, poiché qui si tratta di due spettacoli che sottostanno a ragioni diverse, rivolgendosi a spettatori diversi: uno punta al gioco, l’altro alla introspezione; uno all’intrattenimento, l’altro all’identificazione. Eppure una cosa unisce questi due spettacoli: la difficoltà che incontrano. Il borghese gentiluomo è alla sua terza stagione, ma solo ora ha trovato una collocazione a Roma, per altro a costo di molti sacrifici. Amleto? ha debuttato la scorsa estate e come Il borghese ha vissuto a singhiozzo, riuscendo ad arrivare a Roma solo per tre giorni e grazie alla lungimiranza di un teatro, l’Argot, che ormai è uno dei più fecondi di nuovo teatro. Che cosa ha impedito al Borghese di avere una tournée più lunga e soddisfacente? Che cosa ha impedito a Amleto? una tenitura più adeguata a Roma e non solo? Ciò che ha penalizzato allo stesso modo questi due spettacoli è l’assenza di una politica culturale, l’assenza di una strategia comune del teatro italiano, qualcosa che favorisca la partecipazione del pubblico e che educhi i nuovi spettatori a riconoscere i propri gusti (teatro di intrattenimento o di introspezione…). E che dia la possibilità a chi è fuori dalle stanze che contano di arrivare comunque al pubblico. Perché il pubblico teatrale c’è: questa è la notizia.