Lettera da Berlino
Quel Wagner socialista
La Germania ricorda l'esilio (forzato) di Thomas Mann che il 10 febbraio del 1933 fece la sua ultima uscita pubblica. "Usando" il grande compositore contro il nazismo
Un congedo imprevisto dal proprio Paese. Il discorso «Dolore e grandezza di Richard Wagner» che Thomas Mann tenne il 10 febbraio del 1933 all’Università di Monaco fu l’ultima apparizione del grande scrittore tedesco in Germania fino alla fine della seconda guerra mondiale. Nei giorni successivi all’incontro di Monaco, tenuto in occasione del cinquantenario della morte di Wagner, Mann si recò ad Amsterdam, Bruxelles e Parigi per ripetere la stessa conferenza. Nel frattempo gli eventi politici in Patria precipitarono. Già il 30 gennaio Hitler aveva giurato come Cancelliere e il 27 febbraio ci fu l’incendio del Reichstag, evento cruciale per l’affermazione del Nazismo, a cui seguì il decreto d’urgenza di soppressione dei diritti civili. A Thomas Mann, che aveva già criticato in precedenza le manifestazioni di intolleranza dei nazisti e le azioni di Adolf Hitler, fu consigliato di non far ritorno in Patria.
La lezione su Wagner, inizialmente accolta bene, fu il pretesto per le accuse di aver interpretato in maniera irrispettosa un genio e simbolo della cultura nazionale tedesca. Il paradosso è che Thomas Mann era un grande ammiratore di Wagner: «La passione per l’opera incantatrice di Wagner accompagna la mia vita da quando ne ebbi conoscenza e cominciai a conquistarla, a comprenderla. Quel che le debbo di godimento e d’insegnamento non lo potrò mai dimenticare, né obliare le ore di profonda felicità solitaria pur tra le folle dei teatri, ore piene di brividi e di voluttà dei nervi e dell’intelletto, illuminate da comprensioni commoventi e grandiose, quali solo quest’arte sa concedere. Mai si è rilassata la mia curiosità, mai mi sono saziato di ascoltarla, di ammirarla, di sorvegliarla … non senza diffidenza, lo ammetto; mai i dubbi, le riserve, le censure, per nulla intaccarono quell’arte, non più dell’immortale critica antiwagneriana di Nietzsche, che a me è sempre apparsa un panegirico con segno opposto, una nuova forma di esaltazione. Essa era amoroso odio, autoflagellazione. L’arte di Wagner fu la grande passione nella vita di Nietzsche». (Thomas Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner)
Il discorso di Thomas Mann è lungo e complesso e affronta in modo dettagliato tutti gli aspetti della musica wagneriana, tra cui il rapporto, delicatissimo, tra Wagner e Schopenhauer: «L’incontro con la filosofia di Arthur Schopenhauer è l’evento culminante nella vita di Wagner. Nessuna esperienza intellettuale precedente, non quella ad esempio di Feuerbach, lo eguaglia per importanza personale e storica, giacché essa significò confronto supremo, profonda conferma di sé, redenzione spirituale per colui che ne veniva legittimamente “toccato”, e senza dubbio essa sola aprì alla sua musica il coraggioso varco liberatore». (Thomas Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner).
Considerato il periodo storico di profonda incertezza e preoccupazione politica, i temi più ruvidi toccati da Thomas Mann sono il rapporto tra Wagner e la borghesia tedesca. Il grande scrittore tedesco sottolinea l’elemento “socialista” e politico in Wagner, ma soprattutto il suo legame con la parabola della borghesia tedesca ed al contempo la sua estraneità rispetto alla sua Patria: «Richard Wagner … non fu certo patriota nel senso dello stato-potenza, ma piuttosto socialista, utopista culturale mirante ad una società senza distinzione di classi, liberata dal lusso e dalla maledizione dell’oro, fondata sull’amore; insomma il pubblico ideale sognato per la sua arte. Il suo cuore era per i poveri contro i ricchi. La sua partecipazione ai moti del ’48, che gli costò un tormentoso esilio di dodici anni, fu da lui sin dove possibile sminuita e rinnegata più tardi, quando si vergognava del suo “nefando” ottimismo e si sforza di scambiare la realtà concreta dell’impero bismarkiano con l’attuazione dei suoi sogni. Egli ha percorso il cammino della borghesia tedesca: dalla rivoluzione alla delusione, al pessimismo e all’intimismo rassegnato all’ombra del potere… Nei suoi scritti troviamo queste parole non molto tedesche: Chi se la svigna dalla politica mente a se stesso! Uno spirito così vivo e radicale aveva naturalmente chiara coscienza dell’unità del problema umano, della inscindibilità fra spirito e politica: egli non ha condiviso l’autoillusione del borghese tedesco di poter essere uomo di cultura all’infuori della politica, il folle errore, responsabile della sventura tedesca. Il suo rapporto con la patria rimane … quello di un solitario incompreso e nauseato…». (Thomas Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner)
L’ultimo tema affrontato da Thomas Mann è il rapporto di Wagner con il germanesimo, un elemento che, evidentemente, interessava molto ai nazisti da poco arrivati alla guida della Germania. E qui forse Mann, interpretando il più autentico spirito wagneriano, rilegge il compositore tedesco in modo diametralmente opposto rispetto alle strumentalizzazioni del Nazismo: «La musica di Wagner è più nazionale che popolare. Essa ha molti caratteri sentiti particolarmente dallo straniero come tedeschi, ma serba pur sempre un marchio inequivocabilmente cosmopolita … Wagner è tedesco, è nazionale, lo è in modo esemplare, forse troppo esemplare. Giacché la sua vasta opera, oltre a rappresentare una rivelazione eruttiva della natura tedesca, ne è anche un’interpretazione scenica, il cui intellettualismo e la cui efficacia pubblicitaria giungono sino al grottesco, sino alla parodia, trascinando il pubblico internazionale a gridar fra brividi di curiosità: Ah, ca c’est bien allemand, par exemple! Questo germanesimo, dunque, benché vero e possente, è venato e pervaso di modernità, è decorativo, analitico, intellettuale, e da ciò deriva la sua forza suggestiva, la sua capacità innata di successo cosmopolita. L’arte di Wagner è la più sensazionale autoesibizione ed autocritica della natura tedesca che sia mai concepibile, fatta in modo da rendere interessante il germanesimo anche per lo straniero più ottuso: occuparsi di lei con passione significa sempre anche occuparsi appassionatamente di quel tedeschismo che essa esalta in forma critico-decorativa. In ciò sta il suo nazionalismo, ma questo nazionalismo è tanto compenetrato da estetismo europeo, da renderlo inetto a qualunque semplificazione».
Nella sua lettura colta e raffinata Thomas Mann interpreta Wagner oltre qualsiasi comoda interpretazione. Non è un caso che chiude il suo intervento come segue: «Un’ultima parola di Wagner come spirito, sul suo rapporto con il passato e con l’avvenire. Anche qui sussistono una duplicità e una interferenza di apparenti contraddizioni nel suo carattere, rispondenti all’antitesi fra germanesimo ed europeismo».
Leggere questo Thomas Mann – scrive Mazzino Montinari, editore italiano della traduzione italiana della lezione dello scrittore tedesco – ci aiuta ad afferrare la rugosità della storia, la complessità del ventesimo secolo, di cui Wagner fu l’artista sintetico, ci aiuta a pensare le condizioni nelle quali furono possibili la sua arte e il suo successo.
Dopo il 10 febbraio del 1933 Thomas Mann, che nel 1929 aveva vinto il Premio Nobel per al letteratura, si trasferì in Svizzera fino poi a lasciare l’Europa e trasferirsi negli Stati Uniti, dove insegnerà all’Università «a non odiare la Germania per quella che era ma a rispettarla per quanto essa, nel corso della storia, ha prodotto» (Fabrizio Pasanisi, Bert e il Mago, Nutrimenti 2013) e durante la seconda guerra mondiale terrà anche dei famosi discorsi alla radio (BBC). Negli anni statunitensi Mann svilupperà forti critiche nei confronti del popolo tedesco. Nel Doktor Faustus, romanzo scritto negli USA e di feroce critica alla società tedesca, scrive il premio Nobel: «ma uomini tedeschi, a decine, a centinaia di migliaia hanno commesso ciò che fa rabbrividire l’umanità; e ogni forma di vita tedesca fa orrore ed è esempio del male».
Dopo la guerra, a Thomas Mann fu proposta la Presidenza della Repubblica Federale Tedesca, ma lo scrittore rifiutò l’offerta. In realtà non fece mai più stabile ritorno in Patria, ma visse gli ultimi anni della sua vita (dal 1952 al 1955) in Svizzera. La ferita tra Mann e la Germania (e il suo popolo) non verrà mai del tutto rimarginata.