Lettera da Napoli
Il pontile di Bagnoli
Dai miti antichi all'Italsider che fu, dalla rosa dei venti alla città della scienza. Viaggio in una delle zone più affascinanti e abbandonate dello skyline napoletano. Tra memoria e degrado
Bagnoli è il quartiere dove è cresciuto mio padre. Nacque nella camera da letto dei suoi genitori. In un vecchio palazzotto in Via di Niso. Nel reticolato, le numerose e piccole vie, dai nomi epici, s’inseguono lentamente per poi fuggire verso il mare, per mezzo di una lingua di cemento sospesa sull’acqua che si prolunga per un chilometro fino alla rosa dei venti, disegnata sul selciato grigio dello slargo, all’estremità. Pensata come principio di un viaggio ideale e visionario. Si arriverebbe, seguendo le rotte del Levante a Istanbul, tra le moschee e le tendopoli di Piazza Taksim; dell’ Espero a New York, sul ponte Giapponese di Monet, nella luce accecante di Balla e nelle periferie urbane di Boccioni, nel Museo dell’Arte; del Libeccio ad Algeri, in quelle lontane acque del Mediterraneo, verso la casbah, nel labirinto della città vecchia.
La bussola è davanti alla prua del Pontile dal parapetto in ferro lattiginoso che affaccia sul Golfo di Pozzuoli, in questo spazio del Tirreno dove echeggiano miti e leggende narranti le peripezie di Ulisse e di Enea. È il tramonto. Il sole scompare al di là del Monte di Procida e il promontorio di Capo Miseno, imponente sepolcro del trombettiere di Enea che morì sfidando Tritone, tra la bruma d’arancio che rimbalza sulle onde violacee e sottili della baia. Oltre, le isole di Capri e Ischia. Il carcere minorile sull’isolotto di Nisida ha acceso le luci delle finestre. La non isola, attaccata artificialmente alla terraferma con un ponte, è sveglia. Fu in quel tratto di mare, tra Capri e Nisida, che Ulisse sfuggì al canto ammaliatore delle sirene.
Sul pontile tante persone passeggiano. Fanno jogging. Fumano. Conversano sottovoce. Ammirano il panorama in un’appagante quiete. Enormi gabbiani volano senza mete, con le ali spiegate come vele, spinti dal vento. Mentre le stelle iniziano ad accendersi tristemente. Dall’altra parte della costa dai neri scogli, un terreno asciutto macchiato di verde separa il mare dall’ ex-Italsider, il mostro d’acciaio. In lontananza La città della Scienza, museo scientifico interattivo per bambini e adulti, bruciata, in gran parte, dalla malavita un anno fa. Fu costruita come primo passo verso il rinnovamento della città, nell’area bonificata dove sorge la fabbrica siderurgica, nata nel 1910 e poi dismessa nel 1992. Grandi cartelloni, con immagini in bianco e nero, ne raccontano la dolorosa storia.
A queste fotografie si contrappongono i disegni a colori del nuovo progetto, iniziato nel 2005 dalla Bagnoli Futura che trasformerà quello spazio di circa duecento ettari in un attraente Parco Urbano: edifici con pannelli fotovoltaici, un museo della Civiltà e del Lavoro, un Acquario tematico, un Paese della musica, un Parco dello Sport, per la riconquista di uno dei territori culturalmente più fertili di Napoli. Alcune opere sono già state realizzate, come il Turtle Point, il più grande ospedale per tartarughe d’acqua e di terra in Europa, inaugurato nel 2004. Purtroppo per la mancata vigilanza alla struttura nel quartiere in pugno alla camorra, oggi resta solo abbandono e danni per oltre tre milioni di euro a causa dei furti di rame, controsoffittature e apparecchiature per il riscaldamento dell’acqua, avvenuti recentemente.
L’impianto riposa nell’ombra, lasciando Bagnoli e Fuorigrotta con la più alta percentuale di tumori rispetto alla media italiana. Il Pontile era il percorso ferroviario dei treni per lo scarico merci. Dal mare alla fabbrica. Le navi approdavano, portando ferro e carbone. Alcuni resti dei binari ancora s’intravedono. Gli occhi grandi e rossi del Totem, dello scultore contemporaneo Giancarlo Neri, fissano il mostro dalla piazzola, all’inizio della banchina. Fu un’opera realizzata nel 1998, con materiali provenienti dall’ex-acciaieria. I vecchi operai della fabbrica collaborarono allo smantellamento del sito e successivamente alla faticosa realizzazione di Pasqualone, nome che ironicamente si rifà ai moai, i giganti busti dell’Isola di Pasqua. La statua è grottesca. Una ciminiera di trenta tonnellate regge tutta la struttura. In vetta, un’enorme testa cilindrica d’acciaio scuro. Una valvola per ossigeno, è il naso. Fili di paglia ferrosa attorcigliati, i capelli. Fanali antideflagrazione, gli occhi.
La scultura giganteggia davanti ai palazzi amaranto del paese e alla spiaggia dell’Arenile, dove gli artisti di Bagnoli Power, una libera associazione dedita al recupero di giovani provenienti da realtà difficili, suonano jazz. Chitarre brasiliane alla Pat Metheny e bassi elettrici alla Pastorius, si muovono nelle voci in falsetto sussurrate e appassionate. Luogo che raccoglie ogni anno grandi musicisti come Ian Anderson, Patti Smith, David Bowie, Peter Gabriel e tanti altri, in occasione del Neapolis Festival, una manifestazione musicale creata nella città soprattutto per scopi sociali. Accanto a me una donna mi chiede pigramente una sigaretta e ne approfitto per domandarle se sul pontile hanno mai organizzato eventi particolari. Mi risponde di no, che nemmeno i cani al guinzaglio possono salirci. Aggiunge che per lei è giusto che resti un posto incontaminato e tranquillo, fuori dai problemi della città.
Il ponte di Bagnoli non porta da nessuna parte. Cade a picco nel mare. Ma si specchia nei bagliori arenosi delle lontane polene, e rivedo le strade della città, dalle fessure strette e verdi della finestra di mio nonno, di cui ricordo solo un’ombra triste e appassita.
E’ sera e l’ora di chiusura è vicina. Le strette panchine di pietra del molo più lungo d’Europa sono illuminate dalla luce pallida degli alti lampioni disposti lungo i fianchi. Le ombre amplificate e scomposte si intersecano con i freddi raggi luminosi e le sagome delle persone, geometricamente, come in quadro di Magritte, mentre la Luna colpisce di striscio la ruggine di quel che resta della cabina di scambio dell’altoforno a metà del Pontile.