La "Puglia crudele" pubblicata da Marsilio
Gioventù di niente
Giuliana Altamura nel suo romanzo «Corpi di Gloria» racconta una società che non ha più ragioni per sognare. Tra sesso e omicidi, anche i miti scolorano nella vanità del presente
Corpi di Gloria di Giuliana Altamura (Marsilio) è un romanzo su una Puglia crudele. Siamo nell’ambito borghese delle grandi ville con piscina, dei ricchi villaggi nei dintorni di Bari. Il libro è scritto in modo fruibile ma non scarno, presenta una dolcezza che tende al poeticismo e in un certo senso proprio una fragilità, che riflette bene lo status dei ventenni che vediamo in azione. Le descrizioni sono precise e fortemente visive. Una frase risuona costante: non succede niente. «Sotto una cupola bianca, nel pomeriggio che non si muove, i corpi di Gloria e Cristina si accarezzano indolenti, con una lentezza che è forma di cattiveria sottile. Sentono il sudore scorrere l’una sulla schiena dell’altra, rendere le pelli lattiginose. Non succede niente». Ed è una verità.
Una verità profonda che significa molto più di quanto dice. Quel niente non è una semplice stasi, è qualcosa di più alienante, è un luogo che vuole somigliare ad altri luoghi, magari americani o nordici, ma resta piegato nel suo stesso non essere. Questo niente esiste parallelamente all’ansia che qualcosa accada. L’ansia che s’infila nei corpi, li fa agire in modo inautentico, sfogarsi nel sesso malato, nell’abuso di sostanze, nella bulimia. Quel niente è il legame quasi incestuoso tra la protagonista Gloria e il fratello Andrea, che invece è riuscito ad andar via da questa Bari così spietata, per studiare all’estero e torna per le vacanze, fidanzato con un misterioso Michael. Lo stesso vuoto che lega in questo affetto così simbiotico fratello e sorella, si riscontra nella vita della madre, Sara, completamente asservita a una madre (e nonna dei due ragazzi) moribonda. E lo stesso vuoto guida la falsità dei rapporti di potere che s’instaurano tra i vari Nic e Cris, come vittima e carnefice, l’una legata all’altro soltanto dalla propria insicurezza. «Una volta eravamo a una festa, a Bari, e c’era pure Nic. Già scopavamo ogni tanto ma io volevo fare colpo su di lui. Non so perché. Non mi è mai piaciuto davvero, era tipo un’ossessione. Insomma, mi metto questo vestitino e i tacchi e tutto il resto. Lui non mi guarda neanche. Comincia a ballare con una, lì, al centro della pista, a ficcarle la lingua in gola, a farsela davanti a me. Poi quando la gente va via, mi trascina in bagno, si abbassa la lampo e mi dice, avanti Cris, succhiami il cazzo». Non ho potuto fare a meno di riconoscere alla lettera tali ruoli, provando insieme disagio, sconforto, paura, per questo genere di legami e questo genere di fragilità, con l’assoluto tabù di amare.
La storia poi prende una piega giallistica, c’è un omicidio: la vittima è proprio colui che appariva come il peggiore del gruppo, l’antagonista. Ciò implica che i ruoli in gioco all’inizio vengano messi in discussione. Tutto precipita sempre più velocemente verso un baratro che fino agli ultimi capitoli sembrerebbe senza fondo.
La Puglia come luogo ideale per vacanze o conquiste è completamente distrutta. Ci troviamo qui di fronte a una Puglia immobile ma allo stesso tempo gravida di pericoli, di relazioni malate, di adolescenza protratta fino a un termine ultimo che non esiste se non si fugge per cambiare vita una volta per tutte.