Una mostra a fine bicentenario
Caro Pascarella… tuo Verdi
Col romanissimo poeta il Cigno di Busseto strinse una schietta amicizia nata durante il suo soggiorno romano nell'aprile del 1893, in occasione della prima del “Falstaff”. Come racconta l'esposizione alla Biblioteca Corsiniana dei Lincei dedicata ai rapporti del Maestro con la Capitale
Che cosa legava il “nordico” Giuseppe Verdi e il romanissimo Cesare Pascarella? Un’amicizia schietta, ancorché fiorita nell’ultimo decennio di vita del compositore che stregò l’Italia risorgimentale e poi sabauda. Un’intesa sostenuta dalla reciproca stima, che per esempio fa scrivere in un biglietto indirizzato dal cigno di Busseto al poeta capitolino, nel dicembre del 1900: «Sublimi, sublimo, sublimi! Parlo dei vostri sonetti. Ringraziandovene commosso! Giuseppe Verdi».
Documenta anche questa poco conosciuta liaison la mostra Verdi e Roma che dà ulteriore lustro ai suggestivi saloni della Biblioteca Corsiniana dell’Accademia dei Lincei, in via della Lungara 10. Un’esposizione raggrumata attorno al bicentenario della nascita del musicista, appena prorogata fino al prossimo 8 marzo. Perché all’Accademia dei Lincei? Perché l’istituzione possiede un cospicuo patrimonio verdiano, costituito grazie a tre importanti donazioni giunte nel decennio 1932-‘42. Quella del diplomatico Enrico Garda (lettere di Verdi e della moglie Giuseppina Strepponi nonché il libretto manoscritto di Un ballo in maschera (adombrato però dai titoli Una vendetta in dominò/ Adelina degli Adimari e Il Conte di Gothemburg imposti dalla censura papale nonostante lo sdegno dell’Autore); quella degli eredi del senatore Giuseppe Piroli a Benito Mussolini, che le regalò all’Accademia d’Italia (altre 300 lettere); quella del musicologo Riccardo Schnabel Rossi (missive allo scultore Vincenzo Luccardi).
Ma nel caveau della Corsiniana ci sono pure le carte, le foto, i disegni, i manoscritti del Fondo Pascarella, un universo attorno alla figura dell’icastico autore della Scoperta dell’America che meriterebbe di essere svelato con un’adeguata esposizione che non riesce a vedere la luce per la cronica mancanza di fondi che qualche illuminato sponsor, qualche imprenditore innestato nella capitale potrebbe mettere a disposizione per illuminare la figura di uno dei maggiori poeti romaneschi. Ma tant’è, per ora ci si deve accontentare dell’assaggio relativo al legame Verdi-Pascarella. I due si conoscono in occasione del trionfale soggiorno del compositore a Roma nell’aprile del 1893. L’occasione è la prima capitolina del Falstaff in quel Teatro Costanzi che sigla i cambiamenti urbanistici della Roma sabauda.
Verdi arriva in treno da Milano nella notte del 13 aprile. È una star, oltre che senatore del Regno, così gli tocca sfuggire alla folla che lo aspetta alla Stazione Termini nascondendosi in un magazzino. Nei sei giorni di permanenza – tanti quante le repliche del Falstaff – riceve la cittadinanza onoraria, è accolto in Campidoglio dal sindaco Emanuele Ruspoli, al Quirinale dai Sovrani, da Crispi in via Gregoriana. Si reca in Vaticano il giorno in cui Leone XIII beatifica Antonio Baldinucci, visita il Palatino, le Terme di Diocleziano, il Pantheon. Conosce il conte Primoli, animatore del più ricercato salotto della Capitale, nel palazzetto eclettico tra via dell’Orso e il Tevere, oggi sede del Museo Napoleonico. Alloggia all’Hotel Quirinale, in via Nazionale e alle spalle del Costanzi, al quale è direttamente collegato. E qui pranza appunto con Pascarella.
Nell’ultima sala della mostra (che è pure l’ultima della Biblioteca Corsiniana) troviamo cimeli di questo legame: il ritratto con dedica di Verdi al letterato; i biglietti che gli spedì un mese prima della morte, a cavallo tra il giorno di San Silvestro 1900 e Capodanno 1901. Il romano si trova a Milano e Verdi il 31 dicembre scrive: «Quando a Pascarella piacerà di venire da me, io me ne terrò onorato». E poi, lo stesso giorno: «Caro Pascarella, so che siete invitato domani da Ricordi ma Ricordi v’assolve se venite da me ove troverete Boito. V’aspetto, rispondete. Affezionatissimo G. V.». Il convivio avviene al Gran Hotel Milan. Ecco il cartoncino con il menù, che comprende tra l’altro caviale, trota bollita, filetto di manzo, patè di foie gras, asparagi, millefoglie innaffiato con una coppa di Moet & Chandon. Ed ecco le foto di Pascarella, un bianco e nero con vibrazioni impressioniste che fissa Roma proprio in quella fine Ottocento. Appunto la Capitale come la vide il musicista: Piazza del Popolo, il Tritone, altri scorci animati da passanti e rare vetture a cavallo. Ecco ancora la cupola della neonata Stazione Termini, l’interno sfarzoso dell’Hotel Quirinale, la veduta del Tevere ancora privo dei Muraglioni e dunque con la discesa al fiume dal Teatro Apollo, il palcoscenico che insieme con l’Argentina ospitò le prime assolute di quattro opere verdiane: I due Foscari (1844), La Battaglia di Legnano (1849), Il Trovatore (1853), Un ballo in maschera (1859).
Ma molto altro espone la mostra. L’avvio è scenografico con costumi verdiani provenienti dal Teatro dell’Opera e da altre collezioni, un excursus sui grandi nomi della sartoria teatrale italiana, da Luigi Sapelli in arte Caramba, che per primo si esercitò nella seta stampata, a Odette Nicoletti. Abiti di Rigoletto, Otello, Traviata indossati da un allampanato Pavarotti o da Giacomo Lauri Volpi o dal leggendario Tito Gobbi. Poi, col sottofondo di arie verdiane, bozzetti e figurini firmati da eccelse mani: Alessandro Prampolini, Duilio Cambellotti, Alfredo Furiga, Luchino Visconti. Le lettere infine: ne esce un Verdi regista oltre che compositore, capace anzi di rinunciare alla musica negli snodi più drammatici del testo. Come suggerisce a Cesare De Sanctis, suo fedelissimo collaboratore, a proposito de Il Trovatore, affinché convinca il librettista Cammarano. Dice spiccio di preferire il «recitativo a sei versi rimati». «Voi – prosegue – mi fate l’annotazione: queste parole deve dirle Azucena, sono una conseguenza, ecc, ecc. Oh, permettetemi di dirvi che io capisco benissimo queste cose, ma la più gran parte del dramma (come voi dite) si racchiude non in quelle parole ma in una parola, vendetta!».
Viva Verdi e questa mostra, a cura di Marco Guardo e Olga Jesurum, che rende omaggio all’Italia di cui dobbiamo andare fieri preservandone la memoria, la passione, la dignità, l’identità. L’ingresso al pubblico è gratuito, con visite guidate anche per le scuole (info: biblioteca@lincei.it; 0668027254).