Valentina Mezzacappa
Lettera da Edimburgo

Rivolta scozzese

In questi mesi, in vista del referendum di settembre, s'è parlato molto di indipendenza scozzese. Quali sono le ragioni di questo fenomeno? Ce ne parla lo storico Joseph Farrell

Capire e scoprire facendosi aiutare dalla propria grezza curiosità, senza lasciarsi sopraffare da inesatte e vaghe rappresentazioni, questa è forse la ricetta più efficace per comprendere al meglio le nuove realtà nelle quali una persona può trovarsi immersa per un motivo o per l’altro. La questione dell’indipendenza scozzese rientra in questo ambito: è il frutto di un lungo percorso storico, sociale e soprattutto culturale. Non già il risultato del vaneggiare di accalorati nazionalisti. Niente a che fare con i progetti pseudo-separatisti di stampo leghista: siamo lontani mille miglia. L’indipendenza scozzese non esiste perché la Scozia deve rispondere a un governo centrale londinese come del resto devono fare tutti gli altri paesi del Regno Unito, e come tale può avere o non avere subìto un determinato trattamento dal suddetto governo centrale. Prima di ogni cosa, la Scozia deve la propria indipendenza a un’identità culturale solida e antica, dotata di una sua lingua, di una sua mitologia, di tutta una serie di elementi fondanti un mondo che è ben lontano da quello inglese.

Joseph FarrellSi fa quasi fatica a crederlo, ma è stata finalmente stabilita una data per il referendum il cui esito segnerà in positivo o in negativo il futuro di quella Scozia che da anni ormai sogna l’indipendenza. Gli scozzesi potranno finalmente esprimere la propria opinione in merito il 18 Settembre 2014. Questo è stato possibile grazie al contributo del Professore Emerito della Strathclyde University, Joseph Farrell (nella foto). Farrell non è solo uno scozzese doc ma anche un insigne esperto di cultura italiana, con pubblicazioni sul Journal of Modern Italian Studies, la Modern Language Review e il Times Literary Supplement, per nominare solo alcuni. Come autore ha firmato saggi su Levi, Betti, Bene, la storia del teatro italiano e una fortunata biografia su Dario Fo e Franca Rame (presto anche in Italia) Dario Fo and Franca Rame: Harlequins of the Revolution.

L’intervista è stata amichevole e piacevolmente informale. «Fai finta che io non sappia nemmeno dove si trova o cosa sia la Scozia» abbiamo esordito noi scherzosamente col fine di invitare il professore a spiegare i complicati meccanismi sottostanti la scottante faccenda con semplicità, così da evitare fraintendimenti, paragoni poco calzanti e mortificanti semplificazioni. E forse il modo migliore per evitare tutto ciò era quello di rispondere a cinque semplici domande che però nello studio della storia solitamente portano lontano: chi, come, dove, perché e quando? Difatti la conversazione ha preso il via seguendo proprio questo semplice canovaccio, ma ai fini dell’argomento in questo articolo si è deciso di procedere a gambero, cioè effettuando il percorso di scoperta al contrario. E la strana scelta nasce dall’interessante quanto illuminante risposta che il professore ha dato al termine dell’intervista, risposta che nella sua disarmante razionalità e onestà ha dissipato quelli che erano i preconcetti dell’intervistatore.

Chi cresce in Scozia impara presto a vedere gli inglesi con diffidenza. La poll tax di Margaret Thatcher in questo caso ha lo stesso effetto della benzina sul fuoco, come le percentuali di militari scozzesi impegnati in delicate quanto pericolose missioni nell’Irlanda del Nord, o l’esistenza di periferie come quella di Craigmillar e Pilton o dei celebri Banana Flats di Leith (teatro delle scorribande dei personaggi di Welsh) dove, non solo le condizioni abitative sono pessime, ma si assiste a spettacoli che lasciano davvero a bocca aperta, come bambini in età scolare che la scuola non frequentano o sedicenni avvolte da sgargianti tute in acetato che spingono passeggini dentro ai quali bambini di pochi anni bevono succhi dai colori radioattivi mentre le loro madri-bambine cercano di tenere a bada i figli che già hanno sfornato.

Con simili pensieri per la testa, abbiamo chiesto al professore in che modo gli inglesi hanno cercato attraverso i secoli di schiacciare l’identità della Scozia.

Non penso sia giusto affermare che l’Inghilterra abbia cercato di sopprimere questa identità. La storia della Scozia è molto diversa da quella dell’Irlanda, dove si è assistito a numerosi tentativi di sopprimere diversi aspetti della vita irlandese, in primis quello religioso. Nel 1603 Re Giacomo è diventato re anche d’Inghilterra e nonostante questo il parlamento scozzese è rimasto indipendente. L’indipendenza si è vista anche in tre importanti sfere: la legge, la chiesa e l’istruzione. Questi sono tre aspetti molto importanti per la vita indipendente di un paese. E poi esiste un senso di identità che cementa fra loro questi elementi. La Scozia aveva inoltre una lingua che era diversa, almeno fino a un certo punto. Prendi Robert Burns, lui scriveva in Scot come Walter Scott ma quella purezza linguistica di allora non esiste più. Oggi si parla un inglese che ha un accento scozzese. Quindi la lingua non è stata soppressa, il sistema legislativo non è stato soppresso e certamente nemmeno quello educativo. E anche oggi, in un periodo di grande importanza mediatica, i quotidiani pubblicano edizioni specificatamente scozzesi essendo coscienti della necessità di dover riconoscere un mercato scozzese. Lo stesso vale per la televisione. Penso che il senso di identità non sia mai stato così forte e conosco molti attori e scrittori scozzesi che sono a favore dell’indipendenza. E quando ci si addentra nei territori dell’economia che la storia cambia, in quel caso c’è il desiderio di restare all’interno dell’unione. C’è anche il sostegno del primo ministro della Catalogna il quale crede che nel momento in cui la Scozia avrà la possibilità di entrare a far parte della comunità europea si apriranno più opportunità per il suo paese.

La risposta colpisce senza dubbio per la sua grande civiltà e obbiettività quando sarebbe stato molto più facile, e strumentalizzabile ai fini della questione, dare risalto a quegli stessi argomenti che avevano fatto sì che l’autore dell’articolo si presentasse all’intervista con solidi preconcetti. Avendo inquadrato storicamente e non la posizione della Scozia aspirante indipendentista c’è da chiedersi allora chi sono quelle persone che voteranno in maniera favorevole il giorno del referendum.

Durante il mandato di Blair è sorto un movimento per l’indipendenza che negli ultimi anni è diventato così importante da dare vita ad un governo separato scozzese. Le ultime elezioni al parlamento scozzese sono andate così bene che la maggioranza dei sì è stata schiacciante tanto che persino il primo ministro Cameron non ha potuto fare a meno di riconoscere il bisogno della Scozia di tenere un referendum che potesse fare luce sulla questione dell’indipendenza. Da un lato c’è lo Scottish National Party coalizzato con alcuni partiti minori come i Verdi; dall’altro ci sono tutti gli altri partiti, il Conservative Party, il Labour Party e il Liberal Democratic Party che sono tutti a favore di uno status quo. Bisogna ammettere però che secondo i sondaggi l’unione è in testa. Secondo questi la percentuale dei sì all’indipendenza ammonterebbe ad un 30% ed essendo tutti concordi su questo rende molto difficile argomentare il contrario. Per non parlare poi di quella vasta percentuale di persone che ancora non hanno le idee chiare in merito, quindi nessuno può predire a chi andrà il loro voto.

Ma il cittadino comune, quello che si vede camminare per le strade della città, aspettare i figli all’uscita da scuola o lasciare il supermercato cosa ne pensa? E indubbio che i vertici della piramide del potere sono spesso impegnati in attività inimmaginabili e spesso incomprensibili per un laico, ma la base di quella stessa piramide ha uguale importanza e non può né deve essere ignorata.

Molti cittadini si domandano come sarà la loro vita nel caso in cui la Scozia dovesse ottenere la propria indipendenza. Si starà meglio o peggio? Ma è difficile poter rispondere a una domanda del genere.

La palla viene inevitabilmente rilanciata alla cima, la quale si ritroverebbe nel caso si dovesse andare alle urne, impegnata in complicati e delicati dialoghi tra il governo di Edimburgo e il governo di Westminster…

Verrebbero chiamate in causa negoziazioni riguardanti la condivisione del debito nazionale, la questione del petrolio (non dimentichiamo che virtualmente tutto il petrolio della Gran Bretagna si trova in acque scozzesi), il problema dei confini nazionali e dell’appartenenza a organi internazionali e più specificatamente alla Comunità Europea. Al momento l’obiettivo del governo scozzese è quello di salvaguardare su più fronti uno stato di equilibrio e continuità, vale a dire: vogliamo far parte dell’Europa ma vogliamo essere un paese denuclearizzato. E ci sono sottomarini battenti bandiera britannica e statunitense ancorati in laghi britannici. Il governo scozzese vorrebbe restare all’interno dell’alleanza ma al tempo stesso rimuovere quelle strutture nucleari. Il partito del sì vorrebbe evitare grandi cambiamenti. Per esempio la loro linea ufficiale sarebbe quella di continuare a rispondere alla regina, la quale oltre ad essere sovrana della Gran Bretagna lo è anche del Commonwealth. Desiderano anche mantenere la sterlina, linea non del tutto impraticabile. Ci sono dopotutto altri paesi che condividono la stessa valuta. Mantenere la sterlina però andrebbe a creare delle zone grigie di stampo economico che finirebbero con limitare l’indipendenza.

Risulta un po’ strana la linea scelta dalla fazione del sì e si fa davvero molta fatica a immaginare una Scozia indipendente che sia ancora legata alla sterlina, che voglia restare dentro la N.A.T.O. e che sembra volere continuare a riconoscere il ruolo della regina.

Fortunatamente esiste però una visione diversa, social-democratica che vorrebbe vedere la Scozia andare in una direzione diversa. Questo comporterebbe interventi sul sistema sanitario scozzese, un rafforzamento dell’sistema educativo e mentre in Inghilterra si pagano le tasse per frequentare l’università lo stesso non succede in Scozia.

Ma la domanda che tutti si pongono è: perché un pezzo di terra di nome Scozia aspira all’indipendenza?

Dopo tutto apparteniamo a una nazione senza stato come la Catalogna, con una identità e una cultura ben distinte e questi sono fatti riconosciuti anche dagli Unionists. Abbiamo una grande tradizione letteraria della quale fanno parte nomi come Walter Scott, Robert Louis Stevenson e Robert Burns essendone i più importanti. Abbiamo anche una cultura teatrale separata… ma continuiamo pure a parlare di identità.

A questo punto, il paragone con l’Italia, giovane nazione nata dalla fusione di una serie di staterelli anche diversi fra loro, è inevitabile.

Parlare di indipendenza in relazione all’Italia è una delle cose più difficili, se si guarda alla situazione degli altri paesi comunitari. Il Risorgimento ha affrontato l’argomento nell’Ottocento senza avere nessun tipo di parametro e ha instillato la convinzione che il nazionalismo potesse essere una cosa altamente pericolosa. Torniamo però sulla distinzione fatta da Orwell perché non avvengano più fatti tragici come quelli che hanno segnato il secolo precedente. Io vorrei incoraggiare l’Italia a guardare verso est, dove oggi ci sono paesi che prima non esistevano, come l’Estonia e l’Ucraina.

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