Cartolina dall'America
Realpolitik Obama
Nel consueto discorso alla nazione, il presidente ha rilanciato grandi temi civili (uguaglianza uomo/donna) ma anche piccole cose concrete (l'aumento dei salari minimi): insomma, è tempo di azione
Da donna e da cittadina americana uno dei passaggi più significativi del discorso di Obama alla nazione (The State of the Union), il quinto dal suo primo mandato, martedì 28 gennaio, è stato decisamente quello in cui il presidente ha affermato non essere più tollerabile la diseguaglianza salariale tra uomo e donna. «Oggi le donne che approssimativamente sono circa la metà dalla forza lavoro in questo paese guadagnano 77 centesimi per ogni dollaro che guadagna un uomo. Questo è sbagliato e nel 2014 è addirittura imbarazzante Ogni donna merita per lo stesso lavoro la stessa paga di un uomo. Ogni madre deve avere un giorno libero per prendersi cura di un figlio o di un genitore ammalato senza dovere rischiare il posto di lavoro, e anche un padre. È arrivato il momento di eliminare politiche lavorative che appartengono agli episodi di Mad Men. Quest’anno tutti insieme – Parlamento, Casa Bianca e mondo del business da quello dall’alta finanza a quello delle piccole imprese – dobbiamo dare ad ogni donna l’opportunità che merita. Perché credo fermamente che quando le donne hanno successo, l’America ha successo». E non è un caso che queste parole abbiano entusiasmato tutto il parterre democratico e in parte anche quello repubblicano. Esclusa Michelle Bachmann la quale ha affermato che queste sono semplicemente problematiche da anni ’70. Con buona pace della deputata del Minnesota, il problema sarà anche da anni ’70, ma ancora non è stato risolto e la diseguaglianza permane.
Giornali come il Chicago Tribune e il New York Times hanno notato che gli obiettivi del discorso di Obama questa volta sono stati più modesti che in passato, ma anche più realistici. Che la concretezza sia stata la caratteristica fondamentale di questo mandato presidenziale è un fatto acclarato e dimostrato dalle sue dichiarazioni iniziali: «Facciamo di quest’anno un anno di azione. Questo è quello che la maggior parte degli americani vuole da noi, che ci concentriamo sulle loro vite, sulle loro speranze e sulle loro aspirazioni». Aggiungerei tuttavia che questa scelta si rivela al momento una necessità, considerata la svolta che il presidente intende imboccare. E considerando che essendo questo il suo ultimo mandato il tempo stringe e la realizzazione di certi traguardi non può attendere ulteriormente. Seppure, come ha ricordato, molti sono stati portati a termine: la diminuzione della disoccupazione, la crescita economica e la riforma sanitaria tra altri. Seppure Obama è apparso generalmente conciliante, perché questo appartiene al modus operandi del suo agire politico, è stato anche molto più deciso che in passato, affermando che dove gli sarà consentito se il Parlamento non collaborerà (cosa avvenuta quasi giornalmente in questi ultimi anni con un ostruzionismo repubblicano totale e senza precedenti), cercherà di aggirarlo per realizzare ciò che si propone. «Ho davvero intenzione di lavorare insieme a tutti voi. – ha dichiarato il presidente –. Ma l’America non può attendere immobile senza fare niente e neanche io. Pertanto dovunque e in qualsiasi momento abbia la possibilità di prendere decisioni senza attendere un supporto legislativo per espandere le opportunità per le famiglie americane, lo farò». Parole che hanno mandato su tutte le furie i repubblicani che hanno gridato al colpo di stato, dichiarando che Obama è «un dittatore socialista» e «che crede di essere un re». Un partito repubblicano diviso che ricorre ad espressioni estreme e che reagisce con rabbia alle intenzioni ferme e decise della massima carica dello Stato.
In particolare è su uno strumento governativo, usato e abusato da presidenti come Reagan, Bush padre e figlio, che l’attenzione dei repubblicani si è concentrata: il decreto esecutivo. E soprattutto è stato il fatto che Obama ha affermato di voler usare questo strumento per innalzare il minimo salariale a tutti i lavoratori di società che hanno contratti governativi. E ha invitato i repubblicani ad approvare una legge che sancisca l’ aumento a 10 dollari e 10 centesimi dai 7 e 25 attuali per tutti i lavoratori del paese. Una richiesta già avanzata in passato dal presidente e rimasta a lungo a languire sugli scranni di Capitol Hill con la scusa, secondo i repubblicani, che questo provvedimento danneggerebbe l’aumento dei posti di lavoro e le piccole imprese. Posizione alquanto dubbia se si considera ad esempio che invece una crescita del minimo salariale sortirebbe l’effetto contrario come molti economisti tra cui Robert Reich continuano ad affermare Sembra però che anche nel partito repubblicano non tutti siano concordi sull’opposizione a questo provvedimento. Un partito, quello repubblicano, che sta mostrando grandi difficoltà a livello nazionale e locale. Nella risposta che, come vuole la tradizione, consente al partito di opposizione una reazione al discorso presidenziale, il partito repubblicano ha infatti scelto non un solo candidato, ma addirittura quattro evidenziando le diverse anime che convivono confliggendo senza amalgamarsi.
Ma vediamo con ordine quali sono stati i punti su cui Obama ha concentrato la sua attenzione e quali sono le caratteristiche delle sue scelte. In primo luogo il presidente ha riproposto una legge sull’immigrazione che si rende necessaria visti gli 11 milioni di immigrati illegali presenti nel paese. Ha inoltre reclamato l’aumento del minimo salariale per una non più differibile questione di giustizia sociale, tema questo che sembra essergli particolarmente a cuore. Accanto a questo introduce la possibilità di un fondo pensioni sostenuto dal governo a seguito della crisi economica e la volontà di limitare l’inquinamento ambientale con un controllo più capillare sulle centrali a carbone ancora principale fonte energetica del paese. Dopo avere confermato la chiusura di Guantanamo infine ha ribadito il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro il 2014 e ha manifestato la volontà di una scelta diplomatica nei confronti dell’Iran. Tutte scelte che reclamano non solo una società più giusta e meno squilibrata, che aiuta i più svantaggiati siano essi semplici lavoratori o immigrati illegali o persone che hanno lavorato una vita intera e che si ritrovano senza pensione, ma anche di un paese che è stanco delle guerre, di una supremazia che costa vite umane e di scontri tra culture diverse. Un paese il cui tessuto sociale si sta sgretolando sotto spinte negative che accentuano solitudine e alienazione. Dunque davvero un bel discorso quello di Obama e anche se a certa stampa gli obiettivi sembrano meno ambiziosi per fortuna però vanno in direzione del sentire della gente e di quello di cui ha bisogno. Ma non è questo forse il principale obiettivo della politica e quello che la rende degna di essere praticata? In Europa in generale e in Italia in particolare purtroppo ce ne siamo dimenticati ormai da tempo immemorabile.