Vista sul Palazzo
Politica senza parole
Ormai il cerchio è chiuso: lo spessore culturale dei nostri leader politici è fermo all'esercizio costante del populismo. Dove la demagogia annichilisce il contenuto di ogni “comunicazione“
Non so per voi, ma per quanto mi riguarda, l’interesse verso la politica – questa politica italiana – è andato oramai scendendo verso livelli prossimi allo zero assoluto. Con la nomina di Matteo Renzi a segretario del Pd si è decisamente completata, non si sa se in via definitiva, la frattura tra ciò che un leader politico dice in pubblico e quello che poi trama nelle segrete stanze. Non che questo non sia mai accaduto, tutt’altro: da sempre la politica si nutre di diversi linguaggi e componenti dovendo, per sua istessa natura, affrontare tutte le implicazioni reali della complessità umana. In democrazia poi, sin dai tempi di Cleone, il pericolo della strumentalità propagandistica per ottenere consensi (e quindi forza personale), è sempre dietro l’angolo.
Ora non voglio essere frainteso, non sto esprimendo un giudizio negativo su Matteo Renzi: a parte le sensazioni di simpatia/antipatia che non rappresentano le qualità precipue ch’io richiedo a un leader politico (lo preferisco difatti – e di gran lunga – antipatico e bravo piuttosto che simpatico e inetto o mascalzone), la situazione è tale che, come diceva Deng Xiaoping, non importa se il gatto è bianco o nero: importa che acchiappi il topo. Non voglio quindi entrare nella diatriba Renzi sì/Renzi no.
Il mio è un discorso culturale: è incontrovertibile che ora tutti e tre i leader dei maggiori partiti italiani, coloro che a prescindere dalla nostra singola volontà stanno decidendo e decideranno in futuro l’avvenire politico del nostro infelice paese, in tutti i loro aspetti si presentano come leader populisti e demagogici in cui l’uso dei mezzi di comunicazione annichilisce – e badate bene, non accompagna o magari colora, ma proprio annichilisce – il contenuto della comunicazione; e tutto questo a prescindere se nel significato delle parole dette si sostiene magari esattamente il contrario (Eh… ma come sei antiquato!… guardi il significato delle parole!!!). Voglio ripetermi: annichilisce il significato delle parole e la trama razionale, lo riduce a zero, lo rende irrilevante… capite?: irrilevante. Sull’uso che poi faranno di codesto potere, staremo a vedere e non mi pronuncio, anche se i timori sono tremori.
A chi mi dice che questo è il nuovo, è la modernità, che le cose cambiano e bisogna adeguarsi al nuovo (magari lo dicono allargando le braccia, con sospiri di rammarico e talvolta aggiungendo: «Lo so, tu hai ragione, ma questo è il Nuovo»), a tutti costoro rispondo: ma siete veramente convinti che un cambiamento, solo perché è tale, è un mutamento verso il meglio e non verso il peggio?. E poi ancora: anche ammesso, e niente affatto concesso – e io non lo concedo affatto – che il cambiamento sia ipso facto “progresso”, vorrei chiedere a chi sostiene codesta bislacca idea: l’Italia è un paese tanto più “avanzato” della Germania?… Siamo forse tanto più “moderni” della Francia?… Qui da noi è dunque la prassi democratica molto – ma veramente molto (evidentemente data l’enorme differenza) – più aggiornata che nel Regno Unito?… Ahimé la domanda è retorica, o almeno lo dovrebbe essere se non ci fossimo tutti mangiati il cervello.
Molto spesso, accecati dalla loro presunzione, oppure travolti dalle passioni suscitate dagli eventi, coloro che vanno precipitando verso il basso pensano di crescere e migliorare (e notoriamente gli dèi accecavano chi volevano perdere). Nell’antichità a volte venivano inflitte terribili punizioni cariche di significati simbolici, e spesso agli ingordi di denaro e di potere si bruciavano gli occhi con delle monete roventi… oggi invece ai nostri tempi progrediti, a tutti noi – colpevoli o meno – non solo gli occhi, ma anche la mente e perfino l’anima viene bruciata con degli schermi, catodici o digitali che siano.