Visioni contromano
L’Italia degli squali
Con il nuovo film, "Il capitale umano" Paolo Virzì raggiunge la piena maturità. E dagli umori di provincia passa ai veleni di un'interna nazione. Divorata dal profitto
Stiamo assistendo ad un curioso fenomeno. Paolo Sorrentino con La grande bellezza , già candidato ovunque e presente nella short list degli Oscar, raccoglie consensi (quasi) unanimi. E lo fa con un prodotto che, per molti aspetti, stante forse la presenza (risalente agli ultimi due film) dello sceneggiatore altrimenti bravo Umberto Contarello, ne snatura in parte, intralciandola, la sorrentinità. Talvolta ridondante, perfino compiaciuta, ma di certo apprezzata e riconoscibile. Insomma, anche il Sorrentino a nostro avviso non migliore ottiene i migliori riconoscimenti internazionali. Un Sorrentino diverso, magari evoluto, chi può dirlo, ma di fatto diverso.
Così come è diverso dal solito il nuovo film di Paolo Virzì, Il capitale umano da oggi nelle sale. Che trasferisce dal Connecticut alla Brianza la storia raccontata nel romanzo di Stephen Amidon al quale la pellicola si ispira. Storia di squali della finanza, più o meno grandi ma tutti fedeli al principio del profitto a tutti i costi. Che poi pesce grande mangi pesce piccolo è nella natura delle cose. La sceneggiatura del regista, di Francesco Bruni e Francesco Piccolo esperisce una narrazione degli stessi eventi racchiusi in un lasso di tempo piuttosto circoscritto attraverso le azioni di tre personaggi. Che sono partecipi più o meno direttamente dell’evento che apre il film, un grave incidente stradale che provoca la caduta di un ciclista in una scarpata. Questo è il filo rosso di una storia che rivela personaggi a più dimensioni, doppi, resi tali dalle circostanze e dallo stile di vita. In fin dei conti Fabrizio Gifuni, secondo noi il più bravo del mazzo, che interpreta lo squalo grande Carlo Bernaschi, è il più coerente nella sua naturale spietatezza. E la moglie, Valeria Bruni Tedeschi, nonostante la sua fragilità, rappresenta la sua perfetta metà: Carlo egli, Carla ella.
Dicevamo un Paolo Virzì differente. Il regista toscano, abbandonati i “vizi” regionali, approda ad una sorprendente maturità. Ed è una maturità necessaria, indispensabile per realizzare un’opera politica che bilancia bene thriller (il romanzo essenzialmente lo è) e vicende sociali. Gli attori, tutti, sono in stato di grazia. Paradossalmente il limite del film sta nella sua compattezza. Come ogni prodotto di livello, senza fronzoli e compiacimenti, si avvicina molto a degli standard elevati. Che se da una parte sembrano spersonalizzarne lo stile (virziniano), dall’altra confermano il valore di un percorso che con Il capitale umano raggiunge la maturità di cui sopra: necessaria e per certi aspetti inaspettata. Per cui ancora più apprezzata.