Dopo la morte dell'artista
L’Antibuonista
In memoria di Carlo Mazzacurati, regista raffinato, cinefilo accanito, ma soprattutto amante del grande cinema. Come dimostrano i suoi film: da "Notte italiana" all'ultimo, “La sedia della felicità”
Non inizia bene questo 2014, come non era finito bene il 2013, terminato con la morte ad ottobre di Carlo Lizzani. Inevitabilmente una cosa ci fa venire in mente l’altra. Due morti cosi diverse, una per scelta, forse per necessità, l’altra, quella di Carlo Mazzacurati, per una malattia incurabile che lo affliggeva da tempo. Questo forse perché erano due persone in maniera diversa dolci, gentili, merce rara in un mondo, quello del cinema, dove l’educazione è sempre di più ritenuta un difetto, dove ciò che sorprende sono le buone maniere e non i cialtroni senza talento che la fanno da padroni.
L’ultima volta che abbiamo intravisto Mazzacurati è stato al Festival di Torino, dove presentava quello che a tutti noi sembrò un testamento, La sedia della felicità (nella foto), che vedeva nel cast tutti gli attori a lui più cari, che lo avevano accompagnato nella sua intensa carriera. Padovano, Mazzacurati aveva mosso i primi passi nell’ambiente dei cineclub che gli avevano permesso di conoscere un altro personaggio di cui ogni tanto dovremmo ricordarci, Piero Tortolina, raffinatissimo cinefilo, collezionatore di film introvabili e imprescindibile punto di riferimento per gli organizzatori di festival e rassegne. L’aspetto da omaccione corpulento, la folta barba, una ostinata ritrosia nascondevano un animo sensibile che gli permetteva di raccontare la provincia del nord est nelle sue venature più sfumate. Il che non significava rifuggire anche pellicole più “gastronomiche”. Partecipò ad esempio alla sceneggiatura di film (che personalmente riteniamo notevolissimi) come Fracchia contro Dracula di Neri Parenti.
Notte italiana, suo primo lavoro se si esclude il 16 mm Vagabondi, è a nostro avviso uno dei migliori esordi del cinema italiano, e forse anche uno dei suoi migliori prodotti. Tra le altre pellicole ci piace ricordare Il toro e, con minore entusiasmo, La giusta distanza. E magari anche A cavallo della tigre, sfortunato remake di uno sfortunato film di Luigi Comencini del 1961. Non per l’opera in sé, non riuscita, ma per la testardaggine nel riproporre una storia nella quale credeva e sulla quale riteneva di dover rischiare. Splendidi anche i tre Ritratti di Mario Rigoni Stern, Andrea Zanzotto e Luigi Meneghello.
Il suo ultimo film, La sedia della felicità, portato a termine con enorme fatica, dovrebbe arrivare presto nelle nostre sale. Speriamo che venga accolto come merita. Senza ipocrisie, e senza quel buonismo che lui, padovano trapiantato con troppa fatica a Roma e per questo a Padova ritornato, non avrebbe gradito affatto.